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Giorgetti

Grillo tra Mussolini e Berlinguer alla testa dei residui grillini

Mosse e parole di Grillo lette e commentate dal notista politico Francesco Damato

 

Tutto sommato, da buon comico Beppe Grillo avrebbe potuto vantarsi di questa legislatura ruotata quasi per intero attorno alla “centralità” del suo MoVimento 5 Stelle, aggiudicandogli il merito di avere ridotto, e non di poco, i seggi del Parlamento, di avere imposto alla vecchia, avara, cinica Europa – così almeno sostiene Giuseppe Conte parlando della sua esperienza a Palazzo Chigi – la svolta solidaristica del finanziamento al piano italiano di ripresa e resilienza, di avere introdotto il cosiddetto reddito di cittadinanza, sia pure senza la sconfitta della povertà, e di avere contributo in modo decisivo a quel 6 per cento di aumento del pil, vantato da Mario Draghi, con la spinta all’edilizia grazie ai bonus delle facciate, e simili, pur disciplinati come peggio, francamente, non si poteva.

Invece Grillo – diavolo di un comico – ha deciso di uscire da questa legislatura sul suo blog come da un lager nazista, mescolandosi con i sopravvissuti. E dopo avere imposto a Conte -liberatoriamente definito “stronzo” sul Fatto Quotidiano da Marco Travaglio in persona, dopo tante lacrime per la estromissione omicida da Palazzo Chigi – il divieto di deroga al limite del doppio mandato. Con ciò egli ha ripreso di fatto la guida di ciò che resta del movimento ridotto ormai ad una scissione continua. Ed ha scopiazzato Benito Mussolini ed Enrico Berlinguer, che così diversi fra loro solo lui poteva mettere in qualche modo insieme.

Di Mussolini, già imitato qualche giorno fa per il motto di “molti nemici molto onore”, Grillo ha riproposto anche quel “Vincere” che da bambino, a guerra già finita e perduta, vedevo ancora scritto in nero a caratteri di scatola sulle case cantoniere ed altri edifici. Anche il MoVimento 5 Stelle può, deve ancora vincere la sua guerra, con Grillo sempre alla testa, garantito solo dalla capacità già dimostrata una volta al volante di un’auto di buttarsi fuori in tempo per salvarsi, lasciando morire nel precipizio gli ospiti.

Di Berlinguer il comico ha copiato a sua insaputa la “diversità” del Pci rivendicata rispetto a tutti gli altri partiti dal segretario reduce dal tentativo fallito di un “compromesso storico” con la Dc, anche nella versione assai ridotta della “tregua” parlamentare negoziata con Aldo Moro nelle due versioni dell’astensione e della fiducia ai governi monocolori di Giulio Andreotti. Ma Moro morì di quella tregua, sequestrato fra il sangue della scorta sterminata in via Fani il 16 marzo 1978, a poca distanza da casa, e ucciso pure lui il 9 maggio. Della “diversità” imboccata come una strada suicida secondo valutazioni pure di compagni che gli volevano bene, come Piero Fassino che ne avrebbe poi scritto in un onesto libro autobiografico, Berlinguer sarebbe morto nel 1984 in un comizio elettorale contro il governo presieduto dall’odiato Bettino Craxi. Che pochi mesi prima al congresso nazionale del Psi non si era unito ai fischi levatesi contro l’ospite comunista solo perché non sapeva fischiare, aveva detto con baldanza di cui si sarebbe pentito piangendo l’avversario caduto sul campo. Sono vicende che a ricordarle viene ancora la pelle d’oca.

A Grillo che vanta la diversità sua e del suo popolo, chiamiamolo così, ha in un verto senso risposto oggi Aldo Grasso sul Corriere della Sera occupandosi dell’ex ministro pentastellato e riccioluto Danilo Toninelli, orgoglioso di provare il divieto del terzo mandato e autore, l’anno scorso, di un libro agiografico dell’uomo qualsiasi, o qualunque, come si dichiarava la buonanima di Guglielmo Giannini. “La qualsiasità non ha nulla da perdere”, ha osservato Grasso spiegando la felicità di Toninelli.

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