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Gli Stati Uniti vogliono diventare il nuovo Impero Romano?

I grandi capi della Silicon Valley sono quasi tutti affascinati dall'Impero Romano e dalla sua caduta. Un'ossessione che mette in luce la loro visione del mondo, tanto che il cerchio magico di Trump ritiene che il presidente sia il veicolo degli Stati Uniti per passare dalla Repubblica romana all'Impero. L'articolo di Le Monde

 

Alla fine del 2023, mentre Elon Musk flirta su X con l’influencer conservatrice Ashley St. Clair, i due scherzano su un meme popolare all’epoca sui social network, che consiste nel chiedere agli uomini “con quale frequenza pensano all’Impero Romano”. Diciotto mesi dopo, Ashley St. Clair annuncia di aver dato alla luce il tredicesimo figlio conosciuto di Elon Musk – scrive Le Monde.

Gli hanno dato il nome Romulus, l’ultimo arrivato di una famiglia allargata che il capo di Tesla, X e SpaceX chiama, in privato, la sua “legione”. Per le sue tre figlie, il fondatore di Meta, Mark Zuckerberg, ha invece optato per nomi ispirati agli imperatori romani: Maxima, August e Aurelia. E quando i due uomini hanno ipotizzato, nel corso del 2023, di affrontarsi in un combattimento di MMA (Mixed Martial Arts, arti marziali miste), Musk ha proposto di organizzarlo a Roma, nel Colosseo.

ROMA = POTERE (E PATRIA DI INGEGNERI)

Molti dirigenti delle grandi aziende digitali sono affascinati dall’Impero Romano. […] Mark Zuckerberg, che ha una buona conoscenza del latino, è appassionato di Roma, al punto che recentemente ha disegnato lui stesso delle magliette che riprendono locuzioni latine. Ad esempio: «Carthago delenda est» («Cartagine deve essere distrutta»), o un’altra formula che gli è valsa qualche battuta: «Aut Zuck aut Nihil» («O Zuck o niente») – allusione al «Aut Caesar aut nihil» («O Cesare o niente») attribuito a Cesare Borgia, il «Principe» di Machiavelli.

Perché questi multimiliardari del digitale condividono questa attrazione per un impero scomparso più di quindici secoli fa? Per Honor Cargill-Martin, storica britannica specialista dell’antichità, «una parte della spiegazione è senza dubbio piuttosto semplice: sono uomini di potere e, in Occidente, Roma è il primo paradigma che abbiamo per il potere». […]

Roma veicola anche un’immagine molto evocativa agli occhi di imprenditori che si definiscono innanzitutto ingegneri. «Gli stessi romani pensavano che il loro successo non fosse dovuto solo al loro coraggio e al favore degli dei, ma anche al fatto che erano i migliori logisti», osserva Honor Cargill-Martin. Così, le rappresentazioni che celebrano la potenza di Roma mostrano molto spesso soldati che costruiscono strade, ponti o fortini, e la permanenza di queste infrastrutture nel corso dei secoli è affascinante per gli imprenditori, sottolinea il sociologo Olivier Alexandre, specialista della Silicon Valley. […]

Ma Roma rappresenta anche, per gli americani, un riferimento storico fondamentale. Al momento della loro nascita, gli Stati Uniti volevano tagliare i ponti con l’Impero britannico e, per estensione, con le monarchie, proprio come i romani, nel 509 a.C., cacciarono il re etrusco Tarquinio il Superbo per instaurare la Repubblica. […]

I magnati del digitale adorano Roma. A volte parlano di Sparta, la città greca della guerra e delle leggi, ma non menzionano quasi mai la democrazia ateniese, osserva. «L’età classica di Atene era quella dei filosofi, del dibattito delle idee, del potere supremo del popolo. Non è quello che vogliono questi imprenditori: non hanno alcuna intenzione di condividere il potere con i loro dipendenti! Anche quando parlano di Roma, si riferiscono molto più all’Impero che alla Repubblica, alla condivisione del potere tra il Senato e i tribuni della plebe».

L’OSSESSIONE PER LA CADUTA DELL’IMPERO

Il paragone con Roma è infatti soprattutto politico. Elon Musk, in particolare, lo evoca soprattutto per scongiurare la paura del declino e della caduta, stabilendo un parallelo tra la Roma tardo-imperiale e quella che percepisce come la situazione attuale degli Stati Uniti. «L’America è la nuova Roma», ha dichiarato senza mezzi termini su X alla fine del 2024. […]

Le ragioni della caduta dell’Impero sono oggetto di discussioni infinite da quindici secoli (lo storico tedesco Alexander Demandt ha catalogato ben 210 teorie). In assenza di dati statistici, è impossibile quantificare il calo della natalità che l’Impero avrebbe subito tra il III e il VI secolo. Ciò non ha impedito a questa tesi, spesso associata all’idea di una decadenza causata dal rilassamento dei costumi, di affermarsi come un grande classico, in particolare tra gli autori più conservatori. […]

Elon Musk cita anche, molto più frequentemente, un altro riferimento: la Storia della decadenza e della caduta dell’Impero romano, dello storico inglese Edward Gibbon (1737-1794), i cui sei volumi furono pubblicati alla fine del XVIII secolo e che rimane un classico imprescindibile, nonché un autentico best-seller, nel mondo anglosassone. […] Nella sua analisi, le due ragioni principali del crollo di Roma sono chiare: una forma di corruzione morale che si impadronisce delle élite, accompagnata dall’avvento del cristianesimo.

Ai suoi occhi, il cristianesimo è ciò che trasforma il coraggioso guerriero romano in un essere che si preoccupa più dell’aldilà che dell’Impero, che porge l’altra guancia, ama il prossimo, a scapito dei vecchi valori marziali. Una lettura della situazione americana alla luce di Gibbon consisterebbe nel dire che il problema degli Stati Uniti è il cristianesimo. Ma, ovviamente, questa non è una lettura che piacerebbe alla destra. A meno che non si veda nei primi cristiani l’equivalente dei militanti oggi definiti «woke» dalla destra americana…

LA FIGURA DI MARCO AURELIO (NE IL GLADIATORE) COME IDEALE

Gibbon era un uomo del suo tempo, un intellettuale protestante (nonostante una breve parentesi cattolica durante l’adolescenza a Oxford) e membro di un’élite inglese che temeva più di ogni altra cosa di essere “diluita” nell’Impero britannico, alla stregua delle antiche famiglie senatoriali romane che vedevano arrivare, man mano che l’Impero cresceva, nuovi uomini forti nati in Oriente o in Africa. […]

L’influenza dell’opera di Gibbon ha ampiamente superato i confini della storia per irrigare la cultura popolare e la fantascienza, tanto amata dai magnati della tecnologia. Essa rappresenta una delle principali fonti di ispirazione dello scrittore di fantascienza Isaac Asimov (1920-1992) per la sua serie di romanzi Fondazione, che racconta l’inevitabile caduta di un impero galattico e la lenta rinascita che ne segue. […]

L’ideale di questi grandi imprenditori è la figura dell’imperatore Marco Aurelio, secondo Caroline Winterer, ma nella versione del film Il gladiatore, di Ridley Scott, quella del “buon imperatore, che sta al fianco [del generale e futuro schiavo, poi gladiatore] Massimo, che ha conosciuto la guerra e sembra un filosofo”. […]

“La parte che preferisco delle meditazioni [di Marco Aureo] è quando dice: “Ti alzerai questa mattina e tutti ti odieranno, ti mentiranno, prenderete decisioni sbagliate e sarete molto frustrati e non riceverete alcun riconoscimento per tutto ciò che fate, ma dovete comunque alzarvi””, raccontava Marc Andreessen in un programma televisivo del novembre 2024, vedendo nell’approccio stoico di Marco Aurelio un’evidente simmetria con la funzione di amministratore delegato.

L’imperatore filosofo Marco Aurelio disserta certamente sull’anima umana, ma era considerato alla stregua di un dio e governò l’Impero senza divisioni fino al suo ultimo respiro. Tutto il contrario del modello di disinteresse decantato dai Padri fondatori della democrazia americana: Cincinnato, quel patrizio degli albori dell’epoca repubblicana che era stato supplicato dai Romani di assumere la dittatura mentre arava i suoi campi, che era tornato al suo aratro una volta compiuta la sua missione e che essi vedevano in George Washington un equivalente moderno. […]

A OGNUNO IL SUO IMPERATORE PREFERITO

In una Silicon Valley poco sensibile alla religione e al protestantesimo americano, i grandi uomini romani possono trovare posto in una sorta di pantheon pagano. […]

«Sono la reincarnazione dello spirito di Alessandro Magno», aveva dichiarato il giovane Elon Musk a un investitore sbalordito trent’anni fa, durante un incontro per presentare la sua start-up di digitalizzazione delle Pagine Gialle Zip2, […]. E chi meglio di Alessandro (356-323 a.C.), piccolo re di Macedonia con un’inesauribile sete di conquiste che in pochi anni divenne signore di un immenso impero che si estendeva dall’Egitto alle rive dell’Indo, poteva essere degno di servire da modello al futuro uomo più ricco del mondo?

L’antichità che affascina questi imprenditori è anche e soprattutto quella in cui «i grandi uomini compivano grandi cose e venivano loro erette statue», osserva un ex alto dirigente di uno di questi giganti della tecnologia, secondo cui questi imprenditori, diventati «cattivi» nel discorso pubblico, sono anche alla ricerca del riconoscimento popolare.

Da parte sua, Mark Zuckerberg mette da tempo in evidenza la sua passione per uno dei «più grandi» romani: Augusto (63 a.C. – 14 d.C.). […]

IL CULTO DELL’UOMO FORTE

Il fondatore di Meta continua a venerare colui che molti internauti sospettavano lo avesse ispirato per il suo taglio di capelli, prima che optasse recentemente per un look con riccioli più selvaggi. Su una delle sue magliette fatte in casa c’è scritto in latino: “All’età di 19 anni, ho radunato un esercito, di mia iniziativa e a mie spese”. Una citazione tratta dal racconto Res gestae divi Augusti, lasciato da Augusto… e un parallelo piuttosto evidente con se stesso, che ha fondato Facebook a 19 anni. […]

Certo, il personaggio di Augusto ha, come dice eufemisticamente il dirigente di Meta, un lato oscuro: vincitore di Marco Antonio, che gli contestava la successione di Cesare, conquista l’Egitto, il nord della Spagna e parte dell’Europa centrale. Ma è soprattutto noto per aver posto fine alla Repubblica romana con la pretesa di salvarla, gettando le basi del principato, che in seguito sarà chiamato Impero. […]

Invocare Roma può, ovviamente, servire ai sostenitori del ricorso a un uomo forte. Così, la metafora imperiale antica è ideale per i conservatori americani, osserva Honor Cargill-Martin, perché combina sia il tema del declino morale, onnipresente in Edward Gibbon, sia l’idea di un eccezionalismo degli Stati Uniti, percepiti come una versione moderna della Roma eterna. Se i barbari sono alle porte, ci vorrebbe, come a Roma, un imperatore benevolo, un dittatore in senso storico, che userebbe i suoi pieni poteri per salvare lo Stato americano. […]

Il riferimento a Roma funge addirittura da modello politico per una frangia dei trumpisti, in particolare quelli provenienti dal settore tecnologico, che desiderano minare la democrazia americana per instaurare un «cambiamento di regime», osserva lo scrittore Giuliano da Empoli. «La loro idea, esplicitamente teorizzata da Curtis Yarvin, un influente blogger molto vicino a J. D. Vance e al [cofondatore di Paypal e investitore] Peter Thiel, è che Trump sia il veicolo per passare dalla Repubblica romana all’Impero» […].

(Estratto dalla rassegna stampa estera a cura di eprcomunicazione)

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