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Le ambiziose pene di Giuseppe Conte

Quella orgogliosa solitudine annunciata da Giuseppe Conte. I Graffi di Damato.

Quei megalomani dei nostri cugini francesi, come spesso – confessiamolo – li abbiamo considerati, anche quando la buonanima di Cavour riuscì ad ottenerne l’aiuto per fare uscire l’Italia dall’”espressione geografica” alla quale l’aveva relegata a Vienna Metternich, possono godersi in questi giorni lo spettacolo del “re solo”. Come al manifesto hanno rappresentato il presidente Emmanuel Macron, deciso a rimanere in carica sino alla scadenza ordinaria del suo mandato, nel 2027, ma incapace da luglio scorso di allestire un governo capace di restare in carica per più di qualche settimana, o quasi.

I tedeschi stanno scommettendo fra di loro su quanto perderà nelle elezioni anticipate di febbraio il loro cancelliere Olaf Sholz. Gli americani stanno aspettando con un’ansia neppure tanto trattenuta l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, vista la quantità enorme di novità che egli ha promesso o minacciato per essere eletto e prendersi la rivincita su Joe Biden, che lo aveva sconfitto l’altra volta con risultati contestati a furor di scalmanati incitati dallo stesso Trump contro il Campidoglio di Washington. I coreani del Sud reclamano per strada le dimissioni di un presidente sconfessato in Parlamento in un tentativo di soppressione o sospensione della democrazia.

Noi, in Italia, in un quadro inconsueto di stabilità governativa, per quanto disturbato dalle “schermaglie” interne ammesse dalla premier Giorgia Meloni e dagli scioperi dichiaratamente politici di un sindacalista – Maurizio Landini – deciso a rivoltare il Paese “come un guanto”, dobbiamo accontentarci di contemplare la solitudine di Giuseppe Conte. Che è stato due volte presidente del Consiglio, con maggioranze di segno opposto, e si è illuso per un po’ di potere tornare a farlo in e con una coalizione di sinistra dal “punto più alto dei progressisti” dove lo avevano promosso qualche anno fa l’allora segretario del Pd Nicola Zingaretti e il suo consigliere, amico e quant’altro Goffredo Bettini.

Ora, ripudiato sotto le 5 Stelle dal garante ripudiato, a sua volta, Beppe Grillo, che si è spinto a celebrare i funerali pur virtuali del suo movimento mettendosi alla guida di un furgone vuoto di bara e di fiori, Conte ha appena affidato alla Stampa, in una intervista, alcuni annunci confermativi o peggiorativi della sua crisi di solitudine. In particolare, egli ha detto che ciò che gli resta o gli resterà del movimento, di qualsiasi denominazione e simbolo, andrà “solo al voto”. Anzi, “soli”. Al plurale che si vedrà di quali dimensioni. Ed ha tenuto a spiegare che “non siamo di sinistra”, per quanto lui la pratichi collocando, per esempio, i suoi con la sinistra radicale nella geografia del Parlamento europeo.

Quella di non essere o di non poter essere considerati di sinistra dalle parti di Conte sembrava qualche giorno fa solo una battuta di Romano Prodi nel criptico dibattito interno al Pd sulla costruzione dell’alternativa al centrodestra. Ora invece è un’autocertificazione.

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