Avevamo lasciato Giuseppe Conte, presidente in prorogatio, come si dice in latino di chi resta al suo posto anche dopo la scadenza del mandato, in attesa di essere sostituito o confermato ripristinando legittimità piena, in versione ingraiana – da Pietro Ingrao dei tempi del Pci – in un intervento alla Camera sulla guerra di Gaza e dintorni. Un Conte ingraiano dopo quello moroteo – da Aldo Moro dei tempi democristiani – o sulliano – da Fiorentino Sullo, da lui personalmente celebrato quando era ancora presidente del Consiglio parlandone in un teatro campano alla presenza di un ancora vivo Ciriaco De Mita, che con Sullo tuttavia aveva duramente rotto nella D, o semplicemente camaleontico per la rapidità, la disinvoltura e quant’altro con cui sapeva e sa spostarsi nello scacchiere politico.
Non a caso, del resto, nel 2019 il già “avvocato del popolo” rimase presidente del Consiglio, dopo la crisi apertasi per le ambizioni politiche e personali del suo allora vice presidente leghista del Consiglio Matteo Salvini, sostituendo i leghisti, appunto, col Pd dei post-comunisti e post-democristiani nella maggioranza e nel governo. E altro ancora egli avrebbe fatto nel 2021, sempre per restare a Palazzo Chigi sostituendo i renziani ritiratisi dalla maggioranza, se il presidente della Repubblica Sergio Mattarella glielo avesse permesso. Ma il Capo dello Stato commissariò in qualche modo Palazzo Chigi mandandovi l’ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi. Che Conte, obbligato da Beppe Grillo che ancora disponeva del MoVimento 5 Stelle, ingoiò tanto malvolentieri da vomitarlo – politicamente parlando – nell’anno successivo, anche a costo di spianare la strada elettorale e istituzionale al centrodestra di Giorgia Meloni.
Ma finiamola di parlare del passato e torniamo al presente, dicevo, manzoniano. Nel cui mondo letterario, di fronte alle dimissioni minacciate della vice presidente del partito Chiara Appendino, ex sindaca di Torino, pur di dare una “scossa” per la sua ormai costante crisi elettorale, Conte ha attinto indossando praticamente i panni, la postura e quant’altro di Don Ferrante. Che nei Promessi Sposi minimizza la peste di Milano sino a morirne, non metaforicamente ma davvero, fisicamente.
E Beppe Grillo, a Genova o dintorni, che cosa fa? Continua a tacere, credo anche lui minacciosamente, come l’Appendino minacciando dimissioni che Conte sostiene di non avere nemmeno percepito, attribuendole alla fantasia o alle forzature dei giornalisti. Grillo nel suo blog personale preferisce sognare, per esempio, un mondo affollato di bicilette per salvaguardarlo dall’inquinamento, pur se a Roma, per esempio, le poste ciclabili provocano più proteste che consensi fra i cittadini che, già sopravvissuti alla sindaca pentastellata Virginia Raggi, sopravviveranno anche alle automobili che pure li intossicano.