Non si poteva certo chiedere a Giovanni Toti – “sceso” ieri nella Capitale dalla sua Liguria dopo una novantina di giorni di arresti domiciliari per prepararsi non tanto al processo che lo aspetta a novembre quanto alle elezioni regionali anticipate di ottobre, se non accorpate a quelle del mese successivo programmate in Emilia-Romagna e in Umbria – di replicare su una Vespa le vacanze romane di Gregory Peck con Audrey Hepburn nel celebre film di 71 anni fa. Lui si è mosso rigorosamente in auto. E di cinematografico ha offerto solo un aspetto molto sorridente, nonostante tutto.
L’ormai ex governatore della Liguria, dimessosi irrevocabilmente dal mandato conferitogli dagli elettori proprio per affrontare da libero il processo per corruzione con finanziamenti addirittura trasparenti, ha fatto nella Capitale le visite politiche del caso con gli alleati del centrodestra. La più importante delle quali è stata con il leader della Lega e vice presidente del Consiglio Matteo Salvini nella sede di quello che era una volta il Ministero dei Lavori Pubblici, e ora delle Infrastrutture. Visite che hanno smentito la rappresentazione fatta delle sue dimissioni da Matteo Renzi, nella sua nuova veste di aspirante al cosiddetto campo largo dell’altrettanto cosiddetto centrosinistra, come di un passaggio politico avvenuto per difetto di sostegno convinto degli alleati.
Anche il leader forzista e vice presidente del Consiglio Antonio Tajani, non avendolo potuto incontrare per i suoi impegni di ministro degli Esteri in questi giorni e in queste ore di guerre, ha voluto far sentire la propria voce a sostegno di Toti denunciando la coincidenza inquietante di per sé, ma non avvertita in sede giudiziaria, fra la campagna elettorale d’autunno in Liguria e il processo che l’ha innescata. Non avvertita, dicevo, in sede giudiziaria e neppure dalla stampa o, più in generale, da quella parte non piccola dell’informazione da più di trent’anni appiattita anche sulla scenografia dei processi e degli arresti disposti ben prima dei rinvii a giudizio, spesso mancati peraltro nella storia, per esempio, delle “Mani pulite” di memoria o di rito ambrosiano.
Qualcuno avrà continuato ad avvertire negli incontri romani dell’ex governatore, pur dichiaratamente incerto anche di un suo futuro ancora politico, e non di un ritorno alla professione giornalistica, chissà quali manovre o brighe – ha titolato giorni fa il Fatto Quotidiano – per approdare in Parlamento addirittura in questa stessa legislatura, senza neppure attendere le elezioni ordinarie del 2027. D’altronde già Humphrey Bogart in un altro celebre film diceva a Casablanca nel 1942: “È la stampa, bellezza”. Diventata poi anche il titolo di alcune rassegne televisive di giornali, del ciclo in cui non si butta mai niente.