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Palestinesi

La resistenza distorta dei “giovani palestinesi”

Cosa non torna della manifestazione del 5 ottobre a Roma organizzata dai Giovani Palestinesi. L'intervento di Giordana Terracina.

Si legge sul profilo Instagram “giovanipalestinesi.it” che il 5 ottobre 2024 invitano a scendere in piazza a Roma per una manifestazione nazionale a sostegno del popolo palestinese e il suo movimento di liberazione nazionale “per onorare gli oltre quarantamila martiri di Gaza e i suoi combattenti che da un anno lottano senza tregua, per onorare tutta la Palestina che resiste e insorge contro l’invasore e il suo Stato coloniale”.

Sintetizzando sorge spontanea una domanda al riguardo e cioè se sia possibile affermare ancora una volta che il terrorismo paga?

Cerchiamo di capirne il perché.

Non è la prima volta che si trova ricollegato il significato di “resistente” con la lotta contro lo Stato d’Israele, presente in diversi saggi usciti in questi anni sul lodo Moro e la questione palestinese. L’intento è quello di creare un legame tra il terrorista palestinese, perché questo è stato ed è tutt’ora chi uccide civili innocenti in nome di una presunta causa, con la storia della Resistenza, così come sorta durante la seconda guerra mondiale.

E allora con la curiosità e un certo fastidio per un uso distorto della parola si deve partire con la ricerca sul vocabolario Treccani del significato di resistenza, trovando al primo punto “l’azione e il fatto di resistere, il modo e i mezzi stessi con cui si attuano”. Il dizionario prosegue poi, specificando il senso secondo il linguaggio militare come un’azione di difesa contro il nemico o l’avversario. Tralasciando i significati riferiti alla fisica, alla botanica e ad altre scienze, si arriva al punto forse più significativo, ossia, quello riguardante la seconda guerra mondiale. Si legge “movimento di resistenza, il movimento di opposizione e di lotta armata che si determinò durante la seconda guerra mondiale nei paesi occupati dai nazisti e dai fascisti, o comunque soggetti a regimi e governi filonazisti o filofascisti, contro gli occupanti e contro tutte le forze, politiche e militari, che collaboravano con essi”. Infine il termine viene riferito ad altri movimenti di opposizione e di lotta contro situazioni di oppressione e contro regimi autoritari. Seguono diversi esempi come la resistenza ugonotta in Francia o quella vietnamita o afgana. Nessun segno di quella palestinese e allora come si spiega questo nuovo senso che si vuol dare alla resistenza?

E come si spiega la legittimità di chi invita a scendere in piazza per ricordare il massacro del 7 ottobre, dalla parte dei terroristi e cioè di Hamas?

Il primo punto è facilmente comprensibile se si allarga il discorso anche all’uso improprio delle parole legate alla Shoah, che vengono usate contro lo Stato d’Israele. Basti pensare al termine “genocidio” e alla sua origine, che testimonia un ribaltamento di senso diretto a colpire ancora più a fondo la società civile israeliana e gli ebrei della diaspora.

Per il secondo punto invece la questione è un po’ più complicata, perché tira in ballo eventi che rimandano al passato degli anni ’70 e al presupposto che tra il 1976 (l’anno in cui ci sono stati i primi morti per terrorismo dopo gli eventi del 1974) e il 1996 si contano circa 2216 vittime per il terrorismo di matrice palestinese, operante dietro diverse sigle. Vittime civili dovute a esplosioni di ordigni, attentati contro ristoranti e uffici ebraici, sinagoghe, dirottamenti o esplosioni di aerei e via dicendo. In vent’anni non sono pochi, anche se solo nell’azione del 7 ottobre hanno trovato la morte oltre 1200 innocenti. Ma ciò su cui bisogna soffermarsi a riflettere sono gli effetti che questo terrorismo ha prodotto sulla società civile internazionale, così come oggi è ancora dimostrato dalla manifestazione indetta per il 5 ottobre.

Effetti che hanno portato alla trasfigurazione di un termine come quello di “resistenza”, faro illuminante della costituzione italiana.

Un caos di date ed avvenimenti, che rispecchiano il caos prodotto dai tanti attentati che accompagnano negli anni le diverse scelte internazionali.

Partiamo dal 28 ottobre 1974, quando durante un summit arabo tenutosi a Rabat l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) viene dichiarata la rappresentante ufficiale del popolo palestinese. Tale decisione permette il 13 novembre 1974 a Yasser Arafat leader dell’OLP di tenere un discorso davanti all’Assemblea generale dell’ONU, pur non essendo un capo di uno stato. Il 22 novembre a pochi giorni di distanza le Nazioni Unite concedono lo status di osservatore all’OLP, nell’opposizione di Israele e degli Stati Uniti. Il 10 novembre 1975 l’Assemblea generale approva una risoluzione in cui il sionismo viene equiparato al razzismo e istituisce un Comitato per l’esercizio dei diritti inalienabili del popolo palestinese.

Con un salto temporale il 4 gennaio 1978 il presidente americano Jimmy Carter riconosce il legittimo diritto del popolo palestinese e la necessità che esso abbia parte alla determinazione del proprio futuro. Il 19 novembre 1978 ancora le Nazioni Unite indicono la prima Giornata della solidarietà con il popolo palestinese. Durante il 1979 Arafat viene ricevuto da diversi capi di Governo, quali quello spagnolo, austriaco, tedesco e portoghese. Il 13 giugno 1980 la Dichiarazione di Venezia della Comunità economica europea afferma che il popolo palestinese “deve essere messo nella condizione […] di esercitare pienamente il proprio diritto all’autodeterminazione”. In Italia Arafat arriva il 15 settembre 1982, a pochi giorni dell’attentato alla sinagoga di Roma dove viene ucciso un bambino di due anni Stefano Gaj Tachè, prima con una visita a Papa Giovanni Paolo II e poi accolto al Parlamento, portando con se la sua pistola.

Il 13 settembre 1993 Arafat firma ufficialmente gli Accordi di Oslo alla Casa Bianca, poi naufragati per sua volere e il 10 dicembre dello stesso anno riceve insieme a Yitzhak Rabin e Shimon Peres il premio Nobel per la pace. Il 1995 e il 1996 il leader palestinese è invitato in diverse università internazionali a parlare della questione palestinese.

Tutto ciò mentre vittime innocenti continuano a morire per mano di terroristi privi di scrupoli, pronti a uccidere per la liberazione della Palestina e il ripristino dei territori a prima della guerra dei Sei giorni nel 1967, che ha visto lo Stato d’Israele ancora una volta impegnato in una guerra per la sua sopravvivenza, attaccato su più fronti da differenti Stati arabi.

E allora riprendendo la domanda iniziale, piuttosto che soffermarsi sulla legittimità di una manifestazione, si dovrebbe riflettere piuttosto sul perché ancora oggi, come ieri, si può affermare con assoluta certezza che il terrorismo paga in termini di accreditamento interno e internazionale dei terroristi e dei loro fiancheggiatori, che ci sia l’OLP di Arafat o l’Iran di Ali Khamenei.

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