In quella foto-immagine di Giorgia Meloni alla Casa Bianca col presidente americano Joe Biden, per quanto non seguita – tra fantasie maliziose – da una conferenza stampa congiunta, c’è un po’ la rappresentazione plastica di ciò che si dice o si sussurra con maliziosa cordialità nei corridoi parlamentari italiani da qualche tempo della prima donna, e di destra, alla guida di un governo italiano. E che forse si comincia a condividere anche a livello diplomatico: che cioè la Meloni sia ormai la versione ridotta della “balena bianca” che a suo tempo fu data dal compianto Giampaolo Pansa alla Democrazia Cristiana. Diciamo, per le sue dimensioni fisiche, una balenotta bianca. Che – hanno titolato insieme due giornali affini per certe simpatie grilline come Il Fatto Quotidiano e La Notizia tutta digitale – sarebbe andata alla Casa Bianca a “inchinarsi” o “baciare la pantafola” del padrone di casa. Come usavano fare nella cosiddetta prima Repubblica i presidenti democristiani del Consiglio, fatta eccezione – in verità – per Aldo Moro. Che una volta tornò da un viaggio negli Stati Uniti con la tentazione di ritirarsi dalla vita politica, tanto avvertì di essere stato guardato e ascoltato con diffidenza, a dir poco, dai suoi interlocutori, convinti ch’egli fosse troppo di sinistra.
L’ITALIA DI MELONI È LA PARTNER PRIVILEGIATA DEGLI STATI UNITI?
A sentire uno dei più illustri ex ambasciatori italiani negli Stati Uniti, Giovanni Castellaneta, intervistato dal Giornale e per niente abituato ai suoi tempi a farsi un’idea dei politici americani di turno al governo sentendo gestori e camerieri dei ristoranti italiani da loro frequentati, la Meloni o l’Italia della Meloni, come preferite, è ormai diventata “partner privilegiato” degli Stati Uniti. Biden non ha quindi esagerato a dire che ora lui e la premier italiana di destra sono diventati “amici”, in sintonia un po’ su tutti gli scacchieri della politica internazionale, anche quello cinese che la Meloni ha annunciato di volere conoscere meglio andando di persona a Pechino, dove è già stata invitata.
Anche Claudio Cerasa, il direttore del Foglio che Marco Travaglio si diverte a sfottere come “ragioniere”, al modo in cui la buonanima di Fortebraccio sull’Unità sfotteva come “ingegnere” – ma ad honorem – il povero Alberto Ronchey, è convinto che “un mix fatto di atlantismo, europeismo, anti putinismo, e riequlibrio dei rapporti con la Cina” abbia “permesso alla presidente del Consiglio di portare avanti un’operazione solida, sorprendente e destinata forse ad avere un futuro: trasformare la politica estera non solo nel fiore all’occhiello dell’Italia ma anche in un argine trasversale contro gli estremismi di destra e di sinistra”. Come e forse ancor più della Dc di una volta, non più rappresentata dall’ultimo democristiano quale si compiace di definirsi, specie dopo la morte di Arnaldo Forlani, il quasi senatore a vita Pier Ferdinando Casini.