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Siete proprio sicuri che Meloni sia isolata in Europa?

L’incontro con Weber smentisce la rappresentazione della Meloni isolata in Europa. I Graffi di Damato

I 90 minuti trascorsi insieme da Giorgia Meloni a Palazzo Chigi col presidente e capogruppo del maggiore partito rappresentato nel Parlamento europeo, il tedesco Manfred Weber, reduce peraltro da un incontro col candidato a commissario europeo per l’Italia Raffaele Fitto, hanno smentito da soli la rappresentazione della premier isolata nell’Unione per avere resistito e poi fatto votare dai suoi a Strasburgo contro la conferma della pur amica Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione di Bruxelles. Dove l’Italia merita “un ruolo forte”, come lo stesso Weber ha detto in una intervista al Corriere della Sera prima di chiudere i suoi incontri romani con Antonio Tajani, vice presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e collega di partito europeo.

FITTO TRA MELONI E WEBER

Se questo ruolo sarà così forte da assicurare a Fitto, oltre alle importanti deleghe già concordate o in via di definizione, anche una vice presidenza esecutiva della Commissione si vedrà nei prossimi giorni. Ma pur se la Meloni non dovesse farcela a procurargliela, c’è già chi nello stesso partito della premier ha voluto mettere le mani avanti ricordando – come ha fatto in onda sulla 7 Giovanni Donzelli – che neppure nella commissione uscente l’ex presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni riuscì a suo tempo ad ottenere un simile incarico. A Palazzo Chigi c’era Giuseppe Conte, non ancora sceso al di sotto del 10 per cento dei voti, saltato furbescamente all’ultimo momento nella prima maggioranza di Ursula von der Leyen e tuttora considerato dal suo ammiratore Marco Travaglio il migliore capo del governo italiano fra tutti quelli succeduti a Camillo Benso di Cavour. Altro che il mago di Oz col quale l’ha invece scambiato Beppe Grillo in una delle sue dissacranti incursioni di piazza o di teatro.

RENZI SPIAZZATO DA MELONI E WEBER

Il lungo incontro fra la Meloni e Weber deve avere sorpreso o spiazzato anche Matteo Renzi, distratto però ieri dal suo impegno nella festa dell’Unità a Pesaro, dove l’accoglienza è stata migliore del previsto, dopo tutti i timori avvertiti dagli stessi promotori marchigiani nell’invitarlo come aspirante al cosiddetto campo largo dell’alternativa al centrodestra. Il pubblico non gli ha fatto le feste evangeliche al “figliol prodigo”, nel quale lui stesso del resto ha tenuto a non riconoscersi, ma lo ha accolto come un amico utile quanto meno a contenere in quel campo ciò che resta dei grillini e di Conte: poco ma non abbastanza da far passare all’ex “avvocato del popolo” la nostalgia di Palazzo Chigi e la voglia di tornarci. Perché – ha egli stesso avvertito di recente alla fine di una lunga intervista – non potrà o dovrà bastare ad Elly Schlein di restare, quando dovesse arrivare il momento, la segretaria del partito più votato della coalizione eventualmente vincente. Di quel veleno nella coda anche ieri Renzi a Pesaro ha finto di non essersi accorto, limitandosi a raccomandare ai piddini di tenersi stretta la loro nuova segretaria, anche contro le abitudini di partito da lui subite.

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