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Giorgia Meloni fra voodoo, makumbe e prodini

Che cosa si è detto nel dibattito parlamentare sull'informativa del presidente del Consiglio, Meloni, sul Consiglio europeo del 19 dicembre.

Alla fine, a sorpresa, per la gioia di ex deputati dc, come Pasqualino Biafora, che continuano a frequentare il Transatlantico di Montecitorio, Giorgia Meloni cita Aldo Moro. Ricordando il primo Consiglio d’Europa del 1974, dove per l’Italia c’era Moro, il premier, nell’informativa alla Camera prima del prossimo Consiglio Europeo, dice di condividere Moro e la sua idea di Europa”. Ovvero, “il luogo in cui le Nazioni diventano più grandi senza perdere la loro anima: l’Europa è una casa comune per le differenze”. Un’idea di Ue che, rimarca Meloni, “spesso non abbiamo visto realizzare”.

Il premier spiazza cosi l’opposizione dominata da una sinistra radicalizzata, mossa da un attacco fatto più di frasi fatte che di vere controproposte alternative. Che cosa potrebbero dire a quel punto, dopo aver invitato Meloni a “scendere dal ring”, come la incalza la leader del Pd, Elly Schlein? Che anche Moro era a suo modo un sovranista?

L’altro giorno ad Atreju Meloni aveva particolarmente attaccato Romano Prodi, secondo alcuni osservatori per paura che si formi prima o poi un centro alleato con la sinistra che faccia rinascere l’Ulivo. E diventi realmente competitivo con l’attuale maggioranza. Con la citazione dello statista dc, martire delle Brigate Rosse, si tornerà a dare la stessa interpretazione? Il punto però è che, a parte la notevole differenza con Moro, con tutto rispetto, Prodi non ha più la stessa valenza politica del 1996 o 2006 e i vari “centrini” di Matteo Renzi e Carlo Calenda hanno consensi molto esigui nel Paese e non si vedono in un Enrico Ruffini o in un Beppe Sala le capacità federativa, di leadership necessarie.

Il tanto agognato centro sembra ormai più un luogo mitologico che un dato politico reale. Perché il centro è dal 1994, con la discesa in campo di Silvio Berlusconi che se ne è andato con il centrodestra. E quelli di Prodi sono stati due governi molto brevi. Il centro oggi, nella coalizione al governo, non è solo Forza Italia, che legittimamente ambisce sempre più ad esserlo cercando voti anche dai delusi della sinistra radicalizzata. Ma il centro, che, in un contesto sempre più bipolarizzato, è soprattutto rappresentato dal ceto medio e dalle sue pragmatiche richieste e non dai giochi politici che potevano esserci solo quando c’era la Dc e il proporzionale puro, è sempre più anche FdI, senza escludere la Lega che continua ad avere una sua significativa rappresentanza tra ceti medi e partite Iva.

E tornando a Meloni, intenta a fare di FdI il baricentro del sistema, è evidente che abbia realizzato un bel colpo portando Raffaele Fitto alla vicepresidenza esecutiva della Ue, cosa che la sinistra non aveva ottenuto. Rivendica questo risultato come l’immagine “di un’Italia credibile” che possa mettere riparo a certe “dittature delle burocrazie” in Europa, come quella sull’ambientalismo ideologico in contrasto “con gli stessi agricoltori, i custodi della natura”. Schlein polemizza sulle molte assenze leghiste della mattina e anche quella dello stesso Matteo Salvini (che stoppa: “Polemica sul nulla”), definito ironicamente il “peggior ministro dei Trasporti anche per i ritardi dei treni che avrebbero impedito ai suoi di essere qui”.

Meloni replica secca: “La Lega ha votato Fitto e non ha chiesto come voi alla presidente Ue di non farlo diventare vicepresidente”. È, per il premier, il comportamento di “una sinistra anti-italiana”. Chiosa sarcastica anche riferendosi agli attacchi sul G7: “Tornate a fare corsi di voodoo, perché le makumbe non vi sono riuscite”. Oggi si replica al Senato.

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