Buonasera a tutti, e grazie per avermi ospitato.
La mia più profonda gratitudine va al Presidente John Rogers, al Presidente Frederick Kempe e a tutto l’Atlantic Council per questo illustre riconoscimento di cui sono molto orgogliosa. E ringrazio Elon per le belle parole che ha avuto per me e per il suo prezioso genio per l’epoca in cui viviamo.
Ho riflettuto molto su come presentare il discorso di questa sera.
Inizialmente ho pensato di sottolineare l’orgoglio che provo tutt’ora per essere la prima donna a ricoprire la carica di Primo Ministro in una Nazione straordinaria come l’Italia.
Oppure del lavoro che il Governo italiano sta facendo per riformare il Paese e renderlo nuovamente protagonista nello scacchiere geopolitico.
Avrei potuto parlare dell’inscindibile legame che unisce Italia e Stati Uniti, indipendentemente dalle convinzioni politiche dei rispettivi governi; un legame qui testimoniato dai molti amici di origine italiana, esponenti di una Comunità che da generazioni contribuisce a rendere più forte l’America.
O avrei potuto parlare di politica estera, in un tempo dominato dal caos nel quale l’Italia, con fermezza, è schierata accanto a chi difende la propria libertà e la propria sovranità non solo perché è giusto farlo, ma anche perché è nell’interesse dell’Italia e dell’Occidente impedire un futuro nel quale prevalga la legge del più forte.
Come politico, hai fondamentalmente due opzioni: essere un leader o un follower, indicare una rotta o meno, agire per il bene del proprio popolo o agire solo guidati dai sondaggi. La mia ambizione è quella di guidare, non di seguire.
Questa sera, in ogni caso, voglio offrirvi una prospettiva diversa.
Vorrei iniziare citando un editoriale recentemente pubblicato nell’edizione europea di Politico. L’analisi in questione si è concentrata su “Meloni’s Western nationalism”. L’autore, Dr. Constantini, sostiene che il mio credo politico sia “in quello che potrebbe essere definito un ‘nazionalismo occidentale’”. Un pensiero che, nel suo cuore, incarna la sopravvivenza e rinascimento della civiltà occidentale che, secondo Dr. Constantini, è “nuovo sulla scena europea”.
Non so se nazionalismo sia la parola corretta, perché spesso richiama dottrine di aggressione o di autoritarismo. So, però, che non dobbiamo vergognarci di usare e difendere parole e concetti come Nazione e Patriottismo, perché significano più di un luogo fisico; significano uno stato d’animo a cui si appartiene condividendo cultura, tradizioni e valori.
Quando vediamo la nostra bandiera, se ci sentiamo orgogliosi, significa che sentiamo l’orgoglio di far parte di una comunità e che siamo pronti a fare la nostra parte per migliorarne le sorti.
Per me, l’Occidente è più di un luogo fisico. Con la parola occidente noi non definiamo semplicemente i Paesi che hanno una specifica ubicazione geografica, ma una civiltà costruita nei secoli con il genio e i sacrifici di moltissimi.
L’Occidente è un sistema di valori in cui la persona è centrale, gli uomini e le donne sono uguali e liberi, e quindi i sistemi sono democratici, la vita è sacra, lo stato è laico e basato sullo stato di diritto.
Vi chiedo e mi chiedo: sono valori dei quali dovremmo vergognarci? Sono valori che ci allontanano dagli altri o che ci avvicinano agli altri?
Come l’Occidente, penso che abbiamo due rischi da contrastare. Il primo è quello che uno dei massimi filosofi europei contemporanei, Roger Scruton, definiva oicofobia, dal greco oikos, casa, e fobia, paura. (Kyriakos, questo è il mio personale tributo al tuo premio di stasera). Oicofobia significa l’avversione verso la propria casa. Un disprezzo montante, che ci porta a voler brutalmente cancellare i simboli della nostra civiltà, negli Stati Uniti come in Europa.
Il secondo rischio è il paradosso per cui, se da un lato l’Occidente si guarda dall’alto in basso, dall’altro pretende spesso di essere superiore agli altri.
Il risultato? Il risultato è che l’Occidente rischia di diventare un interlocutore meno credibile. Il cosiddetto Sud Globale chiede maggiore influenza. Nazioni non più soltanto emergenti ma ormai largamente affermate collaborano autonomamente tra loro. Le autocrazie guadagnano terreno sulle democrazie, e noi rischiamo di sembrare sempre più una fortezza chiusa e autoreferenziale.
In Italia, per invertire questa rotta, abbiamo deciso di lanciare il Piano Mattei per l’Africa, per esempio, un modello di cooperazione su base paritaria per costruire un nuovo partenariato a lungo termine con i Paesi africani. Perché, sì, le crisi si moltiplicano nel mondo, ma ogni crisi nasconde anche un’opportunità, in quanto richiede di mettersi in discussione e di agire.
Dobbiamo soprattutto recuperare la consapevolezza di quello che siamo. Come popoli occidentali, abbiamo il dovere di mantenere questa promessa e di cercare la risposta ai problemi del futuro avendo fiducia nei nostri valori: una sintesi nata dall’incontro tra la filosofia greca, il diritto romano e l’umanesimo cristiano
Insomma, come diceva il mio professore di inglese, Michael Jackson, “I’m starting with the man in the mirror, I’m asking him to change his ways” (conosciamo la canzone). Dobbiamo iniziare da noi stessi, conoscere chi siamo veramente e rispettarlo, in modo da poter comprendere e rispettare anche gli altri.
Esiste una narrativa a cui i regimi autoritari tengono molto. Si tratta dell’idea dell’inevitabile declino dell’Occidente, dell’idea che le democrazie non riescano a dare risultati. Un esercito di troll e bot stranieri e maligni è impegnato a manipolare la realtà e a sfruttare le nostre contraddizioni. Ma ai fan dell’autoritarismo, lasciatemi dire molto chiaramente che difenderemo i nostri valori. Lo faremo.
Il Presidente Reagan una volta disse: “Soprattutto, dobbiamo renderci conto che nessun arsenale, o nessuna arma nell’arsenale del mondo, è così formidabile quanto la volontà e il coraggio morale degli uomini e delle donne liberi. È un’arma che i nostri avversari nel mondo di oggi non hanno”.
Non potrei essere più d’accordo. La nostra libertà e i nostri valori, e l’orgoglio che proviamo per essi, sono le armi che i nostri avversari temono di più. Non possiamo quindi rinunciare alla forza della nostra identità, perché sarebbe il miglior regalo che possiamo fare ai regimi autoritari.
Quindi, in fin dei conti, il patriottismo è la migliore risposta al declinismo.
Difendere le nostre radici profonde è la precondizione per raccogliere frutti maturi. Imparare dai nostri errori del passato è la precondizione per essere migliori nel futuro.
Vorrei citare anche Giuseppe Prezzolini, forse il più grande intellettuale conservatore nell’Italia del Novecento: diceva che “chi sa conservare non ha paura del futuro, perché ha imparato le lezioni del passato”.
Noi sappiamo come affrontare le impossibili sfide che quest’epoca ci mette di fronte solo quando impariamo dalle lezioni del passato. Difendiamo l’Ucraina perché abbiamo conosciuto il caos di un mondo nel quale prevale la legge del più forte. Combattiamo i trafficanti di esseri umani perché ricordiamo che secoli fa abbiamo combattuto per abolire la schiavitù. Difendiamo la natura e l’umanità, perché sappiamo che senza l’opera responsabile dell’uomo non è possibile costruire un futuro più sostenibile.
Tentiamo, mentre sviluppiamo l’intelligenza artificiale, di governarne i rischi perché abbiamo combattuto per essere liberi e non intendiamo barattare la nostra libertà in cambio di maggiore comodità. Noi sappiamo leggere questi fenomeni perché la nostra civiltà ci ha regalato gli strumenti per farlo.
Il tempo nel quale viviamo ci impone di scegliere cosa vogliamo essere e quale strada vogliamo percorrere. Possiamo continuare ad alimentare l’idea del declino dell’Occidente, arrendendoci all’idea che la nostra civiltà non abbia più nulla da dire, né rotte da tracciare. Oppure possiamo ricordarci chi siamo, imparare anche dai nostri errori, aggiungere il nostro pezzo di racconto a questo straordinario percorso, e governare quello che accade intorno a noi, per lasciare ai nostri figli un mondo migliore. Il che è esattamente la mia scelta.
E mi piace pensare che il motivo per cui mi avete scelto per questo illustre premio è che condividete questa scelta.
Vi ringrazio.
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L’INTERVENTO IN LINGUA ORIGINALE
Good evening, everyone, and thank you for having me.
My deepest gratitude goes to Chairman John Rogers, President Frederick Kempe, and the entire Atlantic Council for this distinguished recognition I am very proud of. And I thank Elon for the beautiful words that he had for me, and for his precious genius for the era in which we live.
I have put a lot of thought into how to present tonight’s speech.
Initially I thought of emphasising the pride I still feel as the first woman to serve as Prime Minister in a Nation as extraordinary as Italy.
Or about the efforts the Italian government is doing to reform its country to make it, once again, a protagonist of the geopolitical chessboard.
I could have talked about the inseparable bond that unites Italy and the United States, regardless of the political beliefs of the respective governments; a bond witnessed here by the many friends of Italian origin, representatives of a Community that for generations has contributed to making America stronger.
Or I could have talked about foreign policy, in a time dominated by chaos in which Italy stands firmly alongside those who defend their freedom and sovereignty, not only for it is right to do so, but also because it is in the interest of Italy and the West to prevent a future in which the law of the strongest prevails.
As a politician, you basically have two options: being a leader or a follower, to point a course or not, to act for the good of your people, or to act only driven by polls. Well, my ambition is to lead, and not to follow.
Tonight, in any case, I want to offer you a different perspective.
Let me start by mentioning an op-ed recently published in the European edition of Politico. This analysis was focused on “Meloni’s Western nationalism”. The author, who is called Dr. Constantini, argues that my political belief is “in what might be called ‘Western nationalism.’” A thought which, at its heart, embodies the survival and Renaissance of Western civilization, which, according to Constantini, is “new to the European scene.”
I do not know if nationalism is the correct word, because it often recalls doctrines of aggression or authoritarianism. However, I know that we should not be ashamed to use and defend words and concepts like Nation and Patriotism, because they mean more than a physical place; they mean a state of mind to which one belongs in sharing culture, traditions, and values. When we see our flag, if we feel proud, it means that we feel the pride to be part of a community, and that we are ready to do our part to make its fate better.
Well, for me, the West is more than a physical place. By the word West we do not simply define countries by specific geographical location, but as a civilization built over the centuries with the genius and sacrifices of many.
The West is a system of values in which the person is central, men and women are equal and free, and therefore the systems are democratic, life is sacred, the state is secular, and based on the rule of law.
I ask and wonder, to myself and to you: are these values which we should be ashamed of? And do these values drive us away from the others, or do they bring us closer to the others?
As the West, I think we have two risks to counter. The first is what one of the greatest contemporary European philosophers, Roger Scruton, called oikophobia, from the Greek words oikos, which means home, and phobia, which means fear. (Kyriakos, this is my personal tribute to your award tonight). Oikophobia is the aversion to one’s home. A mounting contempt, which leads us to want to violently erase the symbols of our civilisation, in the U.S. as in Europe.
The second risk is the paradox that, while on the one hand the West looks down on itself, on the other hand it often claims to be superior to the others.
The result? The result is that the West is in danger of becoming a less credible interlocutor. The so-called Global South is demanding more influence. Developing nations that are by now largely established are autonomously collaborating among themselves. Autocracies are gaining ground on democracies, and we risk looking more and more like a closed and self-referential fortress.
In Italy, to reverse this course, we decided to launch for example the Mattei Plan for Africa, a model of cooperation based on an equal footing to build a new, long-term partnership with African countries.
For, yes, crises are multiplying in the world, but every crisis hides also an opportunity, for it requires to question oneself, and to act.
Above all, we need to recover awareness of who we are. As Western peoples, we have a duty to keep this promise and seek the answer to the problems of the future by having faith in our values: a synthesis born out of the meeting of Greek philosophy, Roman law and Christian humanism.
In short, as my English professor, Michael Jackson, used to say, “I’m starting with the man in the mirror, I’m asking him to change his ways” (we know the song). We have to start with ourselves, to know who we really are, and to respect that, so that we can understand and respect others as well.
There is a narrative that authoritarian regimes care [about] so much. It is about the idea of the inevitable decline of the West, the idea that democracies are failing to deliver. An army of foreign and malign trolls and bots is engaged in manipulating reality and exploiting our contradictions. But to the authoritarian fans, let me say very clearly that we will stand for our values. We will do that.
President Reagan once said, “Above all, we must realize that no arsenal, or no weapon in the arsenal of the world, is so formidable as the will and the moral courage of free men and women. It is a weapon our adversaries in today’s world do not have”.
I couldn’t agree more. Our freedom and our values, and the pride we feel for them, are the weapons our adversaries fear the most. So we can’t give up the strength of our own identity, for that would be the best gift we can make to authoritarian regimes.
So, at the end of the day, Patriotism is the best response to declinism.
Defending our deep roots is the precondition for reaping ripe fruit. Learning from our past mistakes is the precondition for being better in the future.
I will also use the words of Giuseppe Prezzolini, perhaps the greatest conservative intellectual in twentieth-century Italy: “he who knows how to conserve is not afraid of the future, because he has learned the lessons of the past.”
We know how to face the impossible challenges that this era confronts us with only when we learn from the lessons of the past. We defend Ukraine for we have known the chaos of a world in which the law of the strongest prevails. We fight human traffickers because we remember that, centuries ago, we fought to abolish slavery. We defend nature and humankind, because we know that without the responsible work of humans it is not possible to build a more sustainable future.
As we develop artificial intelligence, we attempt to govern its risks because we fought to be free and we do not intend to trade our freedom in exchange for greater comfort. We know how to read these phenomena because our civilisation has given us the tools.
The time we live in requires us to choose what we want to be and what path we want to take. We can continue to fuel the idea of the decline of the West, we can surrender to the idea that our civilisation has nothing more to say, no more routes to chart.
Or we can remember who we are, learn also from our mistakes, add our own piece of the story to this extraordinary walk, and govern what happens around us, to leave our children a better world. Which is exactly my choice.
And I like to think that the reason why you have chosen me for this precious award, is that you share this choice.
Thank you.