Matteo Salvini lo aveva già detto, secondo un’indiscrezione dell’Agi, in un consiglio federale dopo gli infuocati giorni del Mattarella bis, che lo avevano messo al centro di infuocate polemiche , e la spaccatura del centrodestra: “Ora tutti ci mettano la faccia”. E ieri è stato proprio Giancarlo Giorgetti, il potente ministro capo-delegazione al governo, di cui viene forzata dal mainstream la vecchia amicizia con Draghi, a mettercela, indossando le vesti dell’uomo della Lega di ieri e di oggi.
Chi meglio di lui, dipinto come il “super-draghiano”, uomo forte della triade dei vicesegretari leghisti, poteva mandare al premier il fermo messaggio in cui in sostanza si chiede, per evitare la crisi, il riequilibrio nell’azione politica di una maggioranza apparsa, tra ius scholae e cannabis, troppo sbilanciata a sinistra?
Giorgetti non dice esattamente così, ma la sostanza politica suona così. Davanti alla storica sede di Via Bellerio, a Milano, afferma: “La Lega è un movimento responsabile, ma è giusto che faccia valere le sue idee. Perché la Lega è la Lega e porta avanti le sue idee nel territorio e dove governa”. Dal livello nazionale a quello regionale “è giusto che porti avanti la sua linea”. Chiude un po’ sibillino: “Crisi di governo? Non decido io. Chiedete ai capigruppo. È il parlamento che decide di dare la fiducia al governo”.
Solo una lettura superficiale o fatta ad arte, per alimentare divisioni, potrebbe vedere nell’uscita di Giorgetti, delegato a parlare dopo la riunione del gotha leghista, un “commissariamento” del leader Salvini. Su qualche sito appaiono titoli poi scomparsi del tipo: Giorgetti corregge Salvini, niente uscita dal governo. Ma, secondo le antiche regole della casa, non si esce da un vertice così importante di Via Bellerio senza aver concordato prima con lo stesso segretario federale chi parla di fronte a microfoni e taccuini.
Salvini aveva avvertito su Twitter: “La Lega farà vedere di che pasta è fatta”. Ma era evidente che quella non fosse una minaccia di crisi immediata. Perché su questo si deciderà dopo l’appuntamento di settembre a Pontida. Di che “pasta è fatta la Lega” è l’immagine di un partito strutturato, all’opposto dei Cinque Stelle, addirittura il più antico del parlamento, che non intende farsi “umiliare” con battaglie su temi “divisivi” del Pd e della sinistra “quando le priorità sono altre, con al centro i temi economici”. “Governo e maggioranza – è emerso dal vertice, secondo fonti della Lega – devono concentrarsi su aumento di stipendi e pensioni, blocco degli sbarchi e taglio di tasse e burocrazia, non su droga libera o cittadinanza facile”.
E al termine la Lega con Giorgetti, affiancato dai capigruppo alla Camera e al Senato, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, e l’altro ministro Erika Stefani, presente anche Massimo Garavaglia, appare compatta davanti alla sede. Compatta a cominciare dal fatto che la leadership di Salvini non si tocca, “non è in discussione”, dice lo stesso Giorgetti. Che aveva avuto sfumature diverse rispetto al leader, come, ad esempio, sulla collocazione in Europa.
Salvini oggi sarà a Roma, dove riunirà i senatori, dopo aver riunito nei giorni scorsi i deputati. Evidente che il “capitano”, che ha salvato la Lega, detentore della gran parte del pacchetto di voti leghisti, nonostante il prezzo pagato per la scelta “responsabile” di stare al governo, il leader al centro da mesi di un’offensiva mediatica, da parte della sinistra e del mainstream, che lo vorrebbe inchiodare all’immagine folcloristica (riproposta in modo virale, al limite di una sorta di razzismo antropologico) della cosiddetta crisi del Papeete (la spina al governo giallo-verde in realtà venne staccata in un comizio in piazza a Pescara) ha deciso di sottrarsi alle strumentalizzazioni. E di far apparire anche plasticamente che la sua è la linea di tutta la Lega. Anche della cosiddetta “ala governista”, proprio quella che più ha spinto sull’onda delle pressioni degli imprenditori del Nord per l’ingresso nell’esecutivo. “Così la sinistra mina la stabilità del governo”, dicono i capigruppo. Insomma, se la spina dovesse essere staccata si avverte già da ora: non sarà per colpa della Lega e di Salvini. Un messaggio analogo contro lo sbilanciamento a sinistra della maggioranza di quello che era nato come governo di emergenza nazionale cui furono chiamati tutti viene da Silvio Berlusconi.
Dopo un vertice con lo stato maggiore azzurro, il Cavaliere avverte: “Siamo fortemente preoccupati per le fibrillazioni che vengono scaricate sul governo, in un momento nel quale sono invece necessarie stabilità e dialogo”. Punta l’indice, come fa anche Antonio Tajani, contro la sinistra: “Provocazioni o prove di forza come la proposta inaccettabile sulla coltivazione domestica e l’uso della cannabis, impuntature come quella sul cosiddetto Ius Scholae creano instabilità e confusione”. Berlusconi sottolinea: “Siamo favorevoli a norme che consentano ai giovani immigrati che frequentino un intero ciclo scolastico di ottenere la cittadinanza, ma l’opposizione della sinistra ha bocciato in Parlamento tutte le nostre proposte di buonsenso dimostrando di non essere interessata al risultato finale”. Poi, anche il Cav rimette al centro i temi dell’economia, ribadendo che si muoverà insieme “agli alleati di centrodestra”. Insomma, il messaggio che viene a Draghi dal centrodestra di governo è: l’esecutivo è di tutti, no sbilanciamenti verso Pd, sinistra e Cinque Stelle.