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Giorgetti

Vi racconto gioie e dolori per Conte dopo il Recovery Fund

Perché sono eccessivi i trionfalismi da pugno chiuso come quello mostrato da Conte

Quel pugno chiuso di Giuseppe Conte in mascherina finalmente chiara, dopo tutte quelle scure usate nella maratona del Consiglio Europeo a Bruxelles, rimanda un po’ al fotomontaggio dei guantoni  applicatigli dai maggiori o più combattivi estimatori in Italia rappresentandolo alle prese col premier olandese Mark Rutte. Che è riuscito solo ad assicurare ai cosiddetti paesi frugali qualche sconto nei contributi all’Unione e a imporre a quelli che lui ritiene troppo spendaccioni, italiani in testa naturalmente, meno sussidi, a fondo perduto, e più prestiti. Ma sono rimasti intatti i 750 miliardi destinati alla ripresa dei paesi del vecchio continente danneggiati dall’epidemia virale.

Il pugno ormai sguantato del presidente del Consiglio è tuttavia rivolto, più che all’ormai battuto Rutte con l’aiuto decisivo della cancelliera tedesca Angela Merkel, a quanti in Italia fuori dalla sua maggioranza giallorossa, ma anche dentro, avevano scommesso contro di lui. O comunque avevano sperato di vederlo tornare a Roma indebolito abbastanza per liberarsene già nell’autunno che si prevede non caldo ma caldissimo per una crisi tanto economica quanto sociale. Sullo sfondo della quale sono stati evocati già nei mesi scorsi “i forconi” dal pur lieve Pier Ferdinando Casini: l’ex presidente di centrodestra della Camera staccatosi poi da Silvio Berlusconi ed eletto due anni fa nella sua Bologna al Senato nelle liste del Pd dell’ancora segretario Matteo Renzi. Col quale, pur non avendolo seguito nella nuova formazione chiamata Italia Viva, Casini partecipa il più delle volte alla maggioranza votando la fiducia al governo giallorosso.

Un ulteriore indebolimento di Conte è certamente mancato, visto che il modo in cui ha partecipato al vertice europeo gli ha peraltro procurato ad un certo punto non dico l’ammirazione, ma quanto meno segni di apprezzamento della formazione di destra guidata da Giorgia Meloni, in sintonia questa volta, all’interno del suo schieramento, più con i forzisti di Berlusconi che con i leghisti di Matteo Salvini, tetragroni nella convinzione che a Bruxelles siano scattate più trappole che soccorsi all’Italia.

È tutto da verificare tuttavia il “rafforzamento” del governo vantato, prima ancora che da Conte, dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri. Il cui partito — il Pd — non ha per niente rinunciato, per esempio, spalleggiato sui banchi dell’opposizione dai forzisti, a quell’uso del  fondo europeo noto come Mes e destinato solo al potenziamento del sistema sanitario, più  immediato dei fondi per la ripresa ma avversato dai grillini. Che si fanno forti proprio dei risultati del vertice di Bruxelles favorevoli all’Italia per tenere fermo il loro no al Mes e contare su quello di Conte, affrettatosi proprio a Bruxelles a definire “morbosa” l’attenzione riservata a questo tema dagli altri alleati.

Alla perdurante incognita del Mes si aggiungono, sulla strada di Conte, le elezioni regionali e comunali d’autunno, che mettono a rischio la tenuta del Pd non si se più senza o con l’appoggio dei grillini, divisissimi naturalmente  anche su questo, l’elaborazione dei piani d’investimento e di riforme necessari per accedere ai soccorsi europei, l’elaborazione del difficilissimo bilancio preventivo dell’anno prossimo, i nodi della giustizia più o meno intrecciati con la vicenda di Luca Palamara e la nuova legge elettorale. Che il Pd vuole con una fretta significativa della debolezza del quadro politico e del rischio permanente di un ricorso anticipato alle urne.

 

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