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Referendum

I Verdi si stanno afflosciando in Germania?

In Germania cala il consenso nei confronti dei Verdi al governo: colpa, forse, dell'accelerazione dei piani di transizione energetica, che impattano sulle tasche dei cittadini. L'articolo di Pierluigi Mennitti da Berlino.

 

Dopo Spd e liberali, tocca ora ai Verdi pagare dazio in termini di consenso alle difficoltà di un governo che pare aver perduto negli ultimi mesi unità e incisività. I tempi in cui il partito ecologista contendeva a Cdu e socialdemocratici la prima posizione sono ormai finiti e l’ultimo sondaggio dell’istituto Insa per il quotidiano Bild certifica non soltanto il suo crollo al 15%, ma soprattutto il sorpasso da parte dei nazional-populisti di Alternative für Deutschland.

Se si votasse la prossima domenica, infatti, i Grünen sarebbero il quarto partito della Germania, a oltre dieci punti di ritardo dalla rediviva Cdu di Friedrich Merz, a più di sei dagli alleati-concorrenti socialdemocratici e addirittura un punto sotto l’estrema destra di Afd.

IL RITORNO DEI POPULISTI DI AFD

Il ritorno dei populisti è il secondo dato che emerge dagli ultimi sondaggi, ed è confermato anche da altri istituti di ricerca che quotano Afd tra il 14 e il 16%, ormai a pari livello dei Verdi e in qualche caso anche più su. E sebbene i due elettorati non siano considerati contigui, qualche parallelismo nell’andamento dei due trend c’è. Specie se si guarda a est.

A spiegarlo è Reinhard Müller, autorevole commentatore della Frankfurter Allgemeine Zeitung, per il quale non è affatto un caso che l’estrema destra abbia scavalcato i Verdi e la responsabilità va ricercata nell’accelerazione alla transizione energetica imposta dai ministri ambientalisti.

LA SFIDA NELLA GERMANIA EST

Tutto si gioca negli ex territori della Germania orientale, scrive Müller, visti dai Verdi come “un campo sperimentale unico”. Secondo loro l’eliminazione del carbone, da cui ancora oggi dipende buona parte dell’economia orientale nonché la tenuta dell’approvvigionamento energetico della Germania intera dopo l’addio al gas russo, deve essere anticipata al 2030, di otto anni rispetto a quanto stabilito nel programma di governo.

Tappe forzate, imposte in nome di una sicurezza ideologica, secondo la quale “i cittadini devono essere convinti del percorso da intraprendere nella lotta al cambiamento climatico poiché devono percorrerla loro stessi”. I risultati sono dogmi più che certezze, da realizzare entro il 2030: un Paese senza carbone e nucleare, con energie rinnovabili, allo stesso tempo autosufficiente dal punto di vista energetico e sicuro di non essere costretto a reimportare dall’estero quell’energia che i Verdi stessi demonizzano.

“Ma a quanto pare, ai Verdi non importa nulla dei sassoni, dei brandeburghesi, dei tedeschi della bassa Slesia o di quelli che vivono in Sassonia-Anhalt, persone che di solito vengono classificate come tedeschi dell’Est in modo tanto generico quanto antistorico”, riprende la sua critica il primo quotidiano tedesco, tracciando un quadro ancora più sbilanciato: perché se il sorpasso è avvenuto sulla media nazionale, i numeri elettorali a oriente dell’Elba sono ancora più netti, con Afd che balza quasi ovunque al primo posto, “tanto che un governo senza l’estrema destra è in molti luoghi possibile solo con una coalizione di tutti gli altri partiti messi insieme”.

I VERDI HANNO PROBLEMI ANCHE A OVEST

L’est però non è l’unico problema dei Verdi. Dopo essere stati lodati – anche dalla stampa nazionale – per il pragmatismo mostrato nella prima fase della crisi energetica, adesso si sprecano le critiche per alcuni progetti che rischiano di impattare in maniera drammatica sulle tasche dei cittadini. Uno su tutti, l’obbligo di passaggio dagli impianti di riscaldamento a petrolio e soprattutto a gas alle pompe di calore, a partire dal prossimo anno. Un impegno finanziario enorme per famiglie alle prese con inflazione e rincari dei prezzi soprattutto energetici, che come primo risultato ha avuto quello di intaccare il valore degli immobili.

È un progetto che sta fortemente a cuore al ministro Habeck, che è tornato a difenderlo in questi giorni, assicurando sostanziosi finanziamenti per le famiglie a medio e basso reddito e incentivi di natura fiscale per quelle più danarose. Un esborso di soldi pubblici che ha peraltro messo di malumore il ministro liberale delle Finanze Christian Lindner, alle prese con la necessità di far quadrare il bilancio statale (la nuova legge è stata al momento rinviata).

Ma evidentemente gli elettori sono diventati sospettosi, specialmente quelli annidati nel ceto medio, che avevano contribuito a trasformare i Verdi da agguerrita ma piccola forza politica single-issue a potenziale partito di massa. Il calo nei sondaggi non è diffuso solo a est. Si è diffuso il dubbio che la leadership ambientalista, dopo aver pigiato sul pedale del pragmatismo, di fronte ai malumori della base interna, stia cercando di passare all’incasso nel governo, accelerando sulla transizione energetica verso le rinnovabili nonostante l’incertezza sugli approvvigionamenti nei prossimi anni non sia affatto svanita. Il rinnovato no all’ulteriore prolungamento della vita degli ultimi tre reattori nucleari, appena ribadito dalla ministra dell’Ambiente Steffi Lemke, è un ulteriore tassello.

Il governo rischia così nuovi sbandamenti, con i due partiti minori (Verdi e liberali) alla ricerca di visibilità per frenare il calo di consensi e disposti a spingere sulle proprie politiche identitarie che inevitabilmente sono destinate a collidere. A Olaf Scholz è richiesta una nuova prova di leadership, esercizio nel quale è apparso finora piuttosto carente.

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