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Tutti gli ultimi subbugli politici in Germania

Il flop parlamentare di Merz. Le spaccature nell’Spd alla base del mancato ok del Bundestag. La maggioranza scricchiolante e il caso AfD. Il punto di Mennitti

Alla fine ce l’ha fatta, Friedrich Merz è stato eletto decimo cancelliere della Bundesrepublik, ma solo al secondo scrutinio, per il quale c’è voluto un accordo per modificare il regolamento anche con Verdi e Linke. Però non era mai accaduto che a un cancelliere designato il Bundestag negasse la maggioranza promessa. È successo a Merz. L’attonito silenzio con cui i parlamentari hanno accolto il risultato del voto, letto dalla presidente dell’aula Julia Klöckner, è stato teatrale: un lungo brusio, nessun grido di giubilo. Un silenzio rumorosissimo.

Ma la ferita resterà il peccato originario di questo governo e i momenti che l’anno segnata vanno ricostruiti per come si sono svolti. È come se una bomba fosse esplosa nell’emiciclo. È il silenzio rumoroso di una democrazia in crisi, che si scopre fragile come mai avrebbe immaginato e che teme di sgretolarsi di fronte all’avanzata di forze antisistema. Tra due giorni la Germania celebra la fine della seconda guerra mondiale, la sconfitta totale e la fine del nazional-socialismo. Gli anniversari si intrecciano con la cronaca di questi giorni, con la sensazione della fine di un’epoca (in questo caso quella degli equilibri succeduti proprio al secondo conflitto mondiale) e con i timori dei fantasmi di Weimar.

Le onde sismiche del terremoto politico raggiungono la borsa, il Dax perde di botto oltre l’1 per cento proprio nel giorno in cui i borsisti avevano previsto un nuovo record sull’onda del via al nuovo governo.

Da un punto di vista tecnico tutti si precipitano a leggere cosa dice l’articolo 63 della Legge fondamentale, quello che regola l’elezione del cancelliere. Il primo comma descrive quello che è accaduto questa mattina: il presidente della Repubblica propone al Bundestag il futuro cancelliere che deve ottenere la maggioranza assoluta. Quella della nuova Grosse Koalition non poggia su una base solida: 328 seggi. Per eleggere Merz ne servivano 316, ne sono arrivati 310, 307 hanno votato contro, 3 si sono astenuti: 18 parlamentari della maggioranza hanno negato il consenso. Così si è chiusa la prima fase. Nessuno si era mai andato a leggere i commi successivi dell’articolo 63.

La costituzione prevede che il secondo scrutinio debba tenersi entro quattordici giorni e che la proposta del nuovo cancelliere non venga più dal presidente della Repubblica federale ma dal parlamento stesso. Se lo stallo prosegue oltre le due settimane si passa a una terza fase, in cui può essere eletto il candidato che raccoglie più voti e se la soluzione porta a un cancelliere di minoranza torna in gioco il presidente della Repubblica che può rifiutarlo, sciogliere il Bundestag e indire nuove elezioni.

Questa è la regola mai sperimentata. Ma in determinate condizioni è possibile abbreviare i termini. Ed è quello che si è cercato di fare nelle concitate riunioni dei gruppi parlamentari che si sono succedute dopo la fumata nera. L’obiettivo, la speranza, è di non allungare i tempi oltremisura e di provare a contenere l’impatto devastante per l’immagine del paese.

Quel che al momento in cui scriviamo è divenuto chiaro è che Unione e Spd appoggeranno di nuovo Friedrich Merz in una seconda votazione. Come è poi effettivamente successo: 325 i sì.

La Germania ha bisogno di un nuovo governo, nel pieno della sua legittimità, in grado di dare indirizzi chiari in questa difficile fase di cambiamenti internazionali che vedono peraltro proprio Berlino al centro di sfide durissime. Su questo convergono tutte le forze politiche a parte AfD, che da questo caos vede legittimate le proprie critiche, ma che non sembra in grado di staccarsi dal copione dell’alternativa di sistema e di poter giocare una qualche partita politica. Le prossime ore scioglieranno il dubbio sulle procedure.

Secondo insider, il grosso dei dissidenti nella prima votazione si anniderebbe nell’Spd. Il partito è più diviso di quanto sia apparso all’esterno sulla partecipazione a un governo guidato dal conservatore Merz, specie dopo l’incidente parlamentare con AfD alla fine della scorsa legislatura. In più la svolta generazionale imposta dal nuovo uomo forte del partito Lars Klingbeil con la nomina dei ministri socialdemocratici ha creato forti malumori. Il problema è recuperare la dissidenza in così breve tempo, tenuto conto dello stretto margine di maggioranza dei tre partiti.

Nel medio e lungo periodo i problemi relativi al recupero delle credibilità sia del nuovo governo dopo la falsa partenza, che del paese stesso. In queste settimane i sondaggi rilevano il sorpasso – per ora virtuale e confinato solo ad alcuni istituti demoscopici – dell’estrema destra nazionalista di AfD sull’Unione, mentre i partiti della coalizione, qualora si andasse a votare la prossima domenica, non avrebbero più la maggioranza. Quando Angela Merkel diede nel 2005 il via alla sua prima Grosse Koalition, i due pilastri storici della Germania post bellica (Unione e Spd) totalizzavano oltre il 75 per cento dei voti. Oggi, secondo i sondaggisti dell’istituto Forsa, raccolgono a malapena il 38. L’evaporazione di quasi quaranta punti percentuali in venti anni dà la misura del terremoto politico che ha sconvolto la Germania durante la bonaccia illusoria dell’era merkeliana. Paradossalmente, il fallito voto parlamentare riflette il precario equilibrio politico generale. La Germania presenterà un governo del centro che si configura come un esecutivo di salvezza nazionale, ma che parte già debole fin dalla sua leadership. Che unisce due forze in calo, cementate dall’emergenza e obbligate a un programma di compromesso. Forse non quello che serve per dissipare la malinconia che pervade la società tedesca e i dubbi che avvolgono i partner europei.

L’unico spunto di ottimismo per Merz e i suoi è che peggio di così non potrà andare. Il leader della Cdu ha dalla sua una certa abitudine alle false partenze, come è avvenuto oggi. Anche il suo rientro in politica e la scalata alla guida del partito sono state segnate da inciampi e sconfitte. Alla fine, se è giunto a un passo dal sogno della sua vita, lo deve alla sua tenacia, ora messa alla prova ancora una volta.

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