È fallito a Berlino per mancato raggiungimento del quorum il referendum proposto da sigle ecologiste che chiedeva di anticipare di 15 anni, dal 2045 al 2030, il raggiungimento dell’obiettivo di città climaticamente neutra. Secondo i dati forniti dall’ufficio elettorale, i sì sono stati 442.210, mentre il quorum da raggiungere era di 607.518 voti favorevoli (pari a un quarto degli aventi diritto al voto che erano 2.430.072). Sono mancati oltre 150.000 voti, non pochi.
A differenza di quanto avviene in Italia, il quorum richiesto per la validità del referendum non era quello del superamento del 50% dei votanti: era necessario che i promotori riuscissero a mobilitare per il sì un quarto dell’elettorato cittadino. Questo non è avvenuto.
I DATI SUL REFERENDUM
E anche nel conteggio dei soli voti espressi, le cose non sono andate bene per gli ecologisti: i sostenitori del referendum hanno ottenuto una maggioranza ristretta del 50,9 per cento, mentre hanno votato contro 423.418 berlinesi (48,7%). Un dato sorprendente giacché gli esperti si aspettavano che, tra coloro che si sarebbero recati a votare, la grande maggioranza si sarebbe espressa per il sì, e che i contrari avrebbero al contrario puntato solo a ingrossare il campo del non voto.
E invece, al netto di agnostici e indecisi, sommando i contrari che si sono comunque recati alle urne a quelli che invece hanno scelto l’opzione del non voto, risulta evidente che la grande maggioranza dei berlinesi non abbia approvato l’idea di accelerare le misure necessarie per raggiungere l’obiettivo di neutralità climatica fissato al 2045.
L’affluenza complessiva è stata del 35,8%. Un dato interessante è fornito dalla geografia cittadina del voto referendario. Tra coloro che hanno votato, i sì hanno prevalso nei quartieri centrali, da Kreuzberg-Prenzlauer Berg a Mitte, da Tempelhof-Schöneberg a Neukölln a Charlottenburg, mentre il no ha vinto in tutti quelli periferici. Ma in quest’ultimo caso non solo in quelli più problematici ma anche nei quartieri più ricchi e benestanti. Il voto referendario ha così in buona parte ricalcato quello amministrativo del mese scorso, quando a fronte della netta vittoria dei conservatori della Cdu, i quartieri del centro cittadino avevano visto una prevalenza del voto per i Verdi. È una dicotomia, quella fra centro e periferie, che richiama quella di molte altre metropoli europee, anche se a Berlino, la prevalenza del no anche nei quartieri benestanti contraddice una narrativa basata sulle differenze sociali e di redito.
OBIETTIVI IRREALISTICI SULLE EMISSIONI?
Per introdurre le misure necessarie ad anticipare di 15 anni il raggiungimento dell’obiettivo di città climaticamente neutrale, il governo della città avrebbe dovuto modificare la legge energetica del Land, accelerando su una serie di trasformazioni i cui costi, secondo i primi analisti dei dati elettorali, hanno spaventato i cittadini.
Inoltre, a detta di molti esperti, gli obiettivi indicati dal referendum erano utopistici e non perseguibili nella realtà. Un’opinione espressa ad esempio dai ricercatori dell’Istituto per lo studio climatico dell’Università di Potsdam, la capitale del Brandeburgo alle porte di Berlino, che avevano definito “irrealistico” l’obiettivo proposto dai referendari, pur avendo lanciato ugualmente un appello per il sì, giustificato con il desiderio di tenere alta la pressione sul mondo politico per i temi climatici. E anche il governo di centro-sinistra (Spd, Verdi, Linke), attualmente ancora in carica per gli affari correnti in attesa che si costituisca quello nuovo emerso dalle amministrative dello scorso febbraio, aveva giudicato non realizzabile l’obiettivo del referendum.
IL COMMENTO DELLA NZZ
In un mare di commenti giornalistici indignati, una prima valutazione critica sul voto arriva dalla Neue Zürcher Zeitung (Nzz), il quotidiano svizzero di lingua tedesca, per il quale alla fine “Berlino è una città pazza ma non folle”, e il risultato è anche “un avvertimento al governo nazionale, e soprattutto ai Verdi”. Perché, sostiene la Nzz senza giri di parole, “chi intende fare politica climatica con il piede di porco è destinato a fallire”. Se già in una città “alternativa” come Berlino un referendum di questo genere viene sconfitto, figuriamoci nel resto della Germania.
Il quotidiano di Zurigo fa due conti di quanto sarebbe costata questa corsa ad anticipare di 15 anni l’obiettivo di neutralità climatica. “La prima buona notizia riguarda le famiglie, sia pubbliche che private”, scrive, “la vita a Berlino, un tempo la metropoli più economica della Germania, è diventata a lungo costosa, soprattutto per quanto riguarda gli alloggi. Con la decisione sul clima, quest’ultima sarebbe diventata inaccessibile per molti”.
Centinaia di migliaia di immobili residenziali avrebbero dovuto essere riforniti di energia rinnovabile in soli sette anni, e tutti gli edifici pubblici avrebbero dovuto essere ristrutturati per renderli più efficienti dal punto di vista energetico. Uno sforzo enorme e concentrato in un periodo in cui la Germania e Berlino in particolare vive una storica carenza di artigiani.
“Non è che la maggioranza delle persone in Germania non si preoccupi del cambiamento climatico”, conclude la Neue Zürcher Zeitung, “ma prende sul serio anche altre questioni, come la propria prosperità, la mobilità individuale, la sicurezza interna. Chi mette in pericolo tutto questo per un radicalismo sul clima, perderà prima i cittadini, poi le elezioni”.
L’ACCUSA A SCHOLZ E AI VERDI
Un secondo monito al governo federale, dopo quello elettorale, è arrivato dal rapporto stilato dal consiglio di scienziati del clima, costituito nel 2019 dal precedente esecutivo al momento dell’approvazione della legge sulla protezione del clima. Gli esperti accusano Olaf Scholz e i suoi ministri (presumibilmente soprattutto quelli verdi) di “grandi lacune nella politica climatica” come l’assenza delle strategie necessarie per raggiungere gli obiettivi prefissi. “Sulla strada accidentata verso la neutralità climatica, la Germania è attualmente disorientata”, avverte Sabine Schlacke, co-presidente della Piattaforma scientifica per la protezione del clima (Wpks), “la conseguenza è una minacciosa perdita di fiducia nella politica climatica tedesca da parte di imprese, associazioni e società civile”.
Le prime reazioni che giungono dall’ambiente del movimentismo ecologista non sembrano però tener conto di queste osservazioni. Stefan Zimmer, co-promotore del referendum fallito e portavoce del gruppo “Klima-Neustart” annuncia che la battaglia proseguirà, sostiene che molti berlinesi non abbiano capito cosa fosse in gioco e che in fondo non si tratti di stabilire chi ha vinto o perso, “perché il cambiamento climatico minaccia tutti”. La leader della sezione tedesca del movimento Fridays for Future, Luisa Neubauer, ha invece a caldo accusato “oscure forze della città” che sparano gli ultimi colpi contro la difesa del clima. Ma dai movimenti nessuna autocritica.
Tra le forze politiche spiccano invece le dichiarazioni dei due partiti impegnati a formare il nuovo governo cittadino. Per la Cdu il risultato è positivo perché “dice no a false promesse”. L’Spd, pur soddisfatta, dichiara comunque di impegnarsi per realizzare “il più presto possibile” l’obiettivo fallito con il referendum. Cdu e Spd sono in trattativa per formare il nuovo governo di Berlino sotto la guida del cristiano-democratico Kai Wegner.