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Inflazione

Come la crescita della Germania è stata drogata dall’euro

L'analisi dell'editorialista Guido Salerno Aletta

I miracoli non esistono, almeno in economia. Ma i trucchi ci sono, eccome. Basta guardare alla crescita economica della Germania, drogata dall’euro: un peg valutario che dal 2001 le ha consentito una performance sconosciuta al mondo in tempo di pace. Una accelerazione così rapida delle esportazioni richiama alla memoria l’eccezionale arricchimento degli Usa nel corso della Prima guerra mondiale: mentre l’Europa si dilaniava, producevano e vendevano come mai prima d’allora, raccogliendo così enormi quantità di denaro che rigiravano a prestito.

IL ROVESCIAMENTO DELLA BILANCIA DEI PAGAMENTI IN GERMANIA

Il rovesciamento del segno della bilancia dei pagamenti correnti tedesca è stato repentino: è passato dal rosso fisso del periodo 1991-2000, in cui ha accumulato 139 miliardi di dollari di passivo, che corrisponde ad un disavanzo percentuale sul pil pari all’11,5%, ad una mirabolante crescita. Nel 2001, primo anno della nuova era valutaria europea, il passivo tedesco è ancora di 7,1 miliardi di dollari, pari allo 0,4% del pil. Da allora, inizia la marcia trionfale del surplus, ancora inarrestabile, che è arrivato quest’anno a 346,8 miliardi di dollari, pari all’8,2% del pil. Usare il controvalore in dollari è utile, soprattutto perché consente di confrontarlo con quanto succede negli Stati Uniti, in Giappone ed in Cina.

I CONFRONTI CON GLI ALTRI STATI

A partire dal 2001, la Germania ha accumulato un avanzo della bilancia dei pagamenti correnti pari a 3.592 miliardi di dollari, corrispondente al 102,4% del pil. Nello stesso periodo, la Cina ha messo insieme un attivo pari a 3.357 miliardi di dollari, pari al 66,7% del suo pil, mentre gli Usa hanno accusato un passivo di 9.299 miliardi di dollari, corrispondente al 63,9% del pil. La somma degli attivi accumulati da Cina, Giappone e Germania è stata sostanzialmente speculare al passivo americano, arrivando a 9.517 miliardi di dollari.

GLI SQUILIBRI INTERNAZIONALI

Il problema non risiede dunque nella dinamica della crescita, ma negli squilibri internazionali sottesi: fra il 2001 ed il 2018, infatti, l’economia americana ha segnato complessivamente un +34,2% in termini reali, mentre la Germania si è fermata ad un assai inferiore +24,5%.

I FATTORI CHE HANNO INCISO NELLE DINAMICHE TEDESCHE

Il vincolo monetario all’interno dell’Eurozona, e le dinamiche rispetto al dollaro sono stati determinanti. In epoche lontane, soprattutto fra il 1971 ed il 2001, la svalutazione del dollaro rispetto al marco fu spesso bruscamente corretta, per via politica: da un cambio stabile di circa 4,2 marchi per 1 dollaro che aveva retto fino al 1955, si era arrivati a 3,5 già nel 1971, anno del ripudio americano della convertibilità aurea. Nel 1975 il cambio era passato a 2,4. Scese ancora fino ad 1,81 nel 1980, quando la tendenza si ribaltò per via dell’eccezionale aumento dei tassi di interesse deciso dal Governatore della Fed Paul Volker per stroncare la stagflazione.

LA QUESTIONE DEL CAMBIO

Nel 1985, alla vigilia dell’Accordo del Plaza, il cambio si era riportato a 2,9 marchi per un dollaro. Si era verificata una eccezionale rivalutazione di quest’ultimo, cui occorreva porre rimedio drasticamente per abbattere i torreggianti deficit gemelli americani: bilancio federale e bilancia commerciale. Nel biennio successivo all’Accordo, il dollaro si svalutò del 40%, con pesanti effetti sulle economie europee: solo l’Accordo del Louvre, firmato nel febbraio del 1987, pose fine al declino del biglietto verde. Ancora nel 1995, però, il cambio del marco con il dollaro era pari ad 1,43. Nel 2001, i rapporti erano questi: servivano 2,18 marchi per fare un dollaro; 1,96 marchi per fare un euro, ed 1,18 euro per fare un dollaro.

LE OSCILLAZIONI EURO-DOLLARO

A partire dalla sua introduzione, le oscillazioni tra euro e dollaro sono state estremamente ampie: nel luglio del 2008 il valore del dollaro si era dimezzato, visto che servivano appena 0,62 euro per fare 1 dollaro. Dal punto di vista dell’importatore americano, si è passati dalla condizione migliore nel luglio 2001, quando doveva spendere appena 0,84 dollari per comprare merce del valore di 1 euro, a quella peggiore nel luglio 2008, quando doveva usare ben 1,599 dollari per comprare 1 euro. Oggi servono 1,16 dollari per comprare 1 euro.

COME HA INCISO LA POLITICA BCE

Nel frattempo, anche la politica monetaria eccezionalmente espansiva adottata dalla Bce ha avuto il suo impatto sui cambi e sui movimenti di capitale: nel settembre 2014, quando si sostenne la necessità di andare oltre l’acquisto di Abs’s, il cambio con il dollaro era assai penalizzante per l’euro, avendo oltrepassato nel corso dell’estate il rapporto di 1,33. A gennaio 2015, alla vigilia dell’annuncio effettuato da Mario Draghi dell’avvio del Qe, il cambio aveva già toccato quota 1,15. Alla data di avvio del programma, nel marzo, il cambio era caduto ancora, ad 1,05: in pochi mesi, solo per effetto degli annunci si era ottenuta una svalutazione all’incirca del 30%.

GLI EFFETTI SULL’EXPORT EUROPEO

L’export europeo ha beneficiato ampiamente di questa nuova condizione. Di converso, gli Usa hanno visto peggiorare la loro bilancia commerciale: nel 2017, nei confronti della Unione europea, il saldo per merci è stato negativo per 151 miliardi di dollari. Quello con la Germania vale da solo all’incirca la metà: è passato dai 60,4 miliardi di dollari del 2012 ai 67 miliardi del 2013, ai 74,8 miliardi del 2014, ai 75 miliardi del 2015. Si è quindi leggermente ridimensionato nei due anni successivi, per via degli effetti negativi dello scandalo dieselgate divampato nell’estate del 2015, riportandosi prima a 64,7 miliardi e poi a 63,7 miliardi di dollari.

I RAPPORTI COMMERCIALI GERMANIA-UE

Per quanto riguarda i rapporti commerciali della Germania con gli Stati membri dell’Unione europea, nel primo semestre di quest’anno rispetto all’anno scorso, le esportazioni sono aumentate del 5,9% e le importazioni del 10,1%, ma il saldo attivo tedesco è stato ancora di 85,4 miliardi di euro. Parimenti, nei confronti dei Paesi della zona euro, le esportazioni sono aumentate del 7,6% e le importazioni del 10,1%, ma il saldo è rimasto favorevole alla Germania per 49,5 miliardi di euro. Considerato che l’attivo totale nel semestre è stato di 121,5 miliardi di euro, l’UE vale il 59% dell’export totale ma ben il 70% del saldo attivo. L’Eurozona, a sua volta, determina il 40,7% dell’attivo commerciale.

I FATTORI DEL SUCCESSO ECONOMICO TEDESCO

L’eccezionale successo dell’export tedesco si è tradotto in un altrettanto straordinario miglioramento della posizione finanziaria internazionale netta: la Germania è diventata uno dei maggiori proprietari di asset nei confronti del resto del mondi. Anche in questo caso, il ribaltamento è stato repentino ed inarrestabile: il saldo della IIP, che ancora nel 2002 era negativo per 72 miliardi di euro, è arrivato nel primo trimestre di quest’anno ad un attivo 1.997 miliardi di euro, corrispondenti a 1.797 miliardi di dollari. In punti percentuali sul pil, alla fine del 2016 il saldo netto della Germania era pari al 54%, tallonando così da presso il Giappone che registrava una posizione finanziaria netta di 3.067 miliardi di dollari, pari al 63,8% del suo pil. Sul versante opposto, sempre nel 2016, la posizione finanziaria netta degli Usa è stata negativa per 8.110 miliardi di dollari, pari al 43,4% del suo pil.

Rispetto all’anno precedente, nel 2016 l’incremento della posizione attiva netta della Germania è stato di 236 miliardi di euro, con una velocità di aumento delle posizioni creditorie doppia rispetto a quella delle posizioni debitori: le prime sono arrivate a 8.215 miliardi di euro (+4%), mentre le seconde si sono attestate a 6.506 miliardi (+2%). Per la prima volta dalla metà degli anni Ottanta, nel 2016 gli investimenti di portafogli all’estero hanno superato quelli degli stranieri in Germania, per un importo di 338 miliardi di euro.

(prima parte dell’analisi; la seconda parte sarà pubblicata domani)

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