Prevalgono i musi lungi e le facce corrucciate nei saloni dell’IAA di Monaco, il salone dell’auto tedesco che ha provato con il trasloco da Francoforte alla Baviera di ritrovare impulso e smalto, dopo le ultime edizioni un po’ mosce. Ma i dati che arrivano da quello che da sempre è considerato il settore trainante della prima economia europea non inducono ai sorrisi.
Adesso le case automobilistiche trascinano l’industria tedesca sul fondo. Due giorni fa, proprio mentre a Monaco si aprivano i battenti della fiera, l’Ufficio di statistica di Wiesbaden ha reso noto che il calo del 9% della produzione nel settore automobilistico tedesco ha alimentato una flessione dell’industria tedesca, con la produzione in calo per il terzo mese consecutivo a luglio. Il dato è -0,8%, peggiore del -0,5% che era stato previsto dagli economisti in un sondaggio Reuters.
La più grande economia europea si è ridotta o è rimasta stagnante negli ultimi tre trimestri e la sua ripresa dalla pandemia di coronavirus è stata più lenta di quella degli Stati Uniti o dell’intera zona euro.
COSA DICONO LE STIME DELL’IFO
Giovedì sono arrivate anche le stime congiunturali aggiornate dell’Ifo per il 2023, le cosiddette previsioni autunnali. Pessimismo confermato. Secondo le previsioni dell’istituto di Monaco, alla fine del 2023 la produzione economica tedesca si ridurrà dello 0,4%. Per la crescita bisogna attendere il 2024, quando si stima una crescita dell’1,4%, ma anche qui un leggero ritocco al ribasso rispetto alle stime della scorsa primavera: 0,1 punti percentuali in meno. Ma non c’è da illudersi su successivi slanci: el 2025 la crescita sarà dell’1,2%.
“Contrariamente alle precedenti aspettative, è probabile che la ripresa non si concretizzi nella seconda metà dell’anno. Il rallentamento continua e in quasi tutti i settori la tendenza è al rallentamento”, ha spiegato Timo Wollmershäuser, responsabile delle stime congiunturali dell’Ifo.
“La nostra previsione per l’intero anno rimane valida solo perché il prodotto interno lordo già pubblicato è ora significativamente più alto di quello che era in estate, a seguito di una revisione da parte dell’Ufficio federale di statistica”, ha aggiunto l’economista, “senza questa revisione, avremmo abbassato di 0,3 punti percentuali la previsione di crescita economica per quest’anno, portandola a meno 0,7%”.
A conferma della debolezza dell’industria Wollmershäuser presenta i dati disaggregati. Il punto di forza è il consumo privato che dovrebbe riprendersi gradualmente nella seconda metà dell’anno. “L’aumento del reddito familiare disponibile rimarrà robusto e, con i tassi di inflazione in lento calo, porterà anche a un aumento del potere d’acquisto”, conclude Wollmershäuser. La buona notizia è il rallentamento dell’inflazione. I prezzi al consumo aumenteranno nel 2023 del 6,0%, ma solo del 2,6% l’anno prossimo e dell’1,9% nel 2025.
COSA SERVE ALLA GERMANIA
I numeri dell’Ifo sono più o meno in linea con quelli degli altri principali istituti di ricerca economica tedeschi, che in questi giorni snocciolano le loro stime. Un bollettino quotidiano che non allevia gli umori degli imprenditori e affanna la già faticosa azione del governo. Per l’Iwh di Halle il calo del Pil nel 2023 sarà dello 0,5%, e nel 2024 la ripresa sarà più modesta di quel che prevedono a Monaco: non supererà lo 0,9%. Cifre analoghe sono arrivate dall’IfW di Kiel e dall’Rwi di Essen.
Per gli economisti è chiaro: sono necessarie riforme strutturali per garantire che l’attuale debole crescita non diventi una tendenza. Procedure di pianificazione più rapide, meno burocrazia, lavoratori più qualificati. Alcune di queste misure sono contenute nel patto per la crescita abbozzato questa settimana da Olaf Scholz nel suo intervento al Bundestag in occasione del dibattito sulla legge di bilancio, ma, anche qualora venissero davvero implementate, avranno bisogno di tempo per mostrare la loro efficacia.
Per ora il cuore industriale del paese è stato colpito in modo particolarmente duro dall’aumento dei prezzi dell’energia e dei tassi di interesse, ma anche dal rallentamento degli scambi con la Cina, il secondo mercato di esportazione della Germania. Cambiamenti in buona parte non congiunturali, destinati a perdurare nel tempo, probabilmente a diventare elementi stabili di una nuova epoca, quella della de-globalizzazione e della fine del legame energetico con la Russia. Negli ultimi sette, otto anni, fra guerre commerciali, pandemia, aggressione russa in Ucraina, è cambiato il contesto in cui la Germania ha consolidato la sua leadership economica in Europa e nel mondo. Il paese (la sua classe politica, ma anche quella imprenditoriale) non ha saputo leggere le trasformazioni in corso ed è arrivato impreparato al punto di svolta.
SGUARDO AGLI USA E ALLA CINA
C’è chi guarda all’estero, soprattutto agli Stati Uniti, come ancora di salvezza, attratto dagli incentivi di Joe Biden e dai prezzi più contenuti dell’energia. O ancora alla Cina, trascurando gli allarmi che dovrebbero risuonare dopo quel che è accaduto con la Russia. Si tratta di grandi gruppi, come Basf, la principale azienda chimica tedesca, settore energivoro particolarmente colpito dagli alti costi dell’elettricità, che ha scelto di costruire un nuovo impianto petrolchimico da 10 miliardi di euro in Cina e sta allo stesso tempo ridimensionando i suoi stabilimenti storici sulle rive del Reno, a Ludwigshafen.
IL PROBLEMA DELLE PMI
Chi non può emigrare (un tempo si diceva delocalizzare) sono le medie e piccole imprese, l’ossatura del Mittelstand tedesco che tanto benessere ha prodotto per il paese. Queste sono costrette ad affidarsi alla buona volontà del governo Scholz, o alle questue dei presidenti dei Länder, volati a Bruxelles per chiedere che la Commissione permetta ai governi nazionali di sovvenzionare il prezzo dell’energia per l’industria. E naturalmente la Germania ha già un progetto (seppur controverso) allo scopo.
Da molte parti si chiede al governo federale un piano più ampio, di sostanziali riforme strutturali, una sorta di Agenda 2030 o 2040, sul modello dell’Agenda 2020 con cui Gerhard Schröder vent’anni fa rimise in moto la locomotiva tedesca dopo la sbornia della riunificazione. Ma anche Schröder è caduto in disgrazia: prima fra gli stessi socialdemocratici, che hanno accusato quella sua agenda riformista dello strutturale calo elettorale subito dal partito, e ora anche tra tutti i tedeschi, che pur avevano osservato senza particolare sdegno la crescita dei suoi legami di affari con Vladimir Putin.