Bisognerà abituarsi agli alti e bassi nella nuova stagione dei rapporti tra Germania e Cina, nata all’indomani dei due eventi che hanno messo in crisi la globalizzazione – pandemia e guerra russa in Ucraina – e che si sta sviluppando all’ombra del più grande confronto fra Washington e Pechino.
Dopo aver perso la stampella russa per l’energia, Berlino si muove con accortezza sul fronte cinese, per contenere i danni di un’eventuale rottura che la propria industria non riuscirebbe a digerire. Un cammino difficile, sempre sul filo del rasoio, fra necessità di rimodulare le formule della collaborazione e tentativi di evitare una nuova, nefasta dipendenza.
L’ANNULLAMENTO DELLA VISITA DI LINDNER IN CINA
Tra i momenti bassi va sicuramente annoverato l’annullamento da parte cinese della visita di Stato del ministro delle Finanze Christian Lindner, leader del partito liberal-democratico (Fdp) e vice-cancelliere. Un piccolo sgarbo diplomatico che Pechino non ha giustificato ufficialmente, ma che gli osservatori tedeschi pensano sia da ricondurre alla posizione del suo partito su Taiwan.
Intanto la notizia, trapelata soltanto la sera di lunedì 8 maggio. Nello scorso fine settimana, il ministero delle Finanze cinese ha comunicato al corrispondente ministero tedesco la necessità di rinviare a data da destinarsi il previsto incontro bilaterale a Pechino che si sarebbe dovuto svolgere mercoledì 10 maggio. Motivo: problemi di calendario. Una richiesta a brevissimo termine, inconsueta nei rapporti diplomatici, specie fra due paesi che intrattengono così strette relazioni economiche.
LA RISPOSTA DELLA GERMANIA ALLA MOSSA DELLA CINA
La visita era stata organizzata per preparare le consultazioni governative tra Germania e Cina e un dialogo finanziario di alto livello tra i due Paesi. Da parte tedesca si prova a smorzare l’effetto della cancellazione e si fa sapere che Lindner aveva fatto in modo di combinare i colloqui in Cina con una riunione dei ministri delle Finanze del G7 in Giappone, ma poi la parte cinese ha offerto una data alternativa per il viaggio di ritorno dal Giappone. “E il ministro non ha potuto essere disponibile con un preavviso così eccezionalmente breve”, è stata la dichiarazione di un portavoce del ministero a Berlino. L’incontro a Pechino sarà dunque recuperato in una data successiva.
UNA RIPICCA DI PECHINO?
La versione però non convince i commentatori della politica tedesca e molti ritengono piuttosto che si tratti di una ripicca di Pechino per la posizione espressa più volte dai liberali sul sistema cinese. Di più: a marzo, la ministra liberale della Ricerca Bettina Stark-Watzinger si era recata a Taiwan, una visita molto pubblicizzata dalla ministra stessa e di conseguenza dalla stampa tedesca tanto da suscitare il disappunto cinese. Lo stesso Lindner aveva recentemente criticato la posizione della Cina sulla guerra russa contro l’Ucraina e aveva anche affrontato apertamente le questioni relative ai diritti umani.
E d’altronde, a stretto giro di posta la reazione del diretto interessato non si è fatta attendere. E non è una replica che lascia molti dubbi sul vero motivo della disdetta cinese. Lindner ritiene che la Germania debba avere un “approccio sicuro di sé e realistico” rispetto alla Cina. “Chi si affida solo alle relazioni economiche perde una parte della sua missione civilizzatrice”, ha scritto con una qualche enfasi su Twitter, “chi invece discute solo con l’atteggiamento non muoverà nulla”. In un podcast del media “The Pioneer”, ha anche auspicato un “contegno meno vellutato” e un “migliore equilibrio” verso Pechino: “La Germania non lascerà che i suoi valori liberali vengano comprati per buoni affari”, ha detto, “quando i valori entrano in tensione, l’impegno per il diritto internazionale è centrale”. Solo alla fine Lindner ha aggiunto una nota di realismo diplomatico, quando ha sottolineato che è ingenuo credere che la Germania possa distaccarsi dalla Cina.
GLI INCIDENTI PRECEDENTI
Il leader dell’Fdp non è d’altronde nuovo a incidenti con il governo cinese. Nell’estate del 2019, quando il suo partito era ancora all’opposizione, in occasione di un viaggio in Asia aveva prima incontrato i membri dell’opposizione a Hong Kong. E in seguito, la parte cinese aveva cancellato ancora con breve preavviso una serie di appuntamenti a Pechino. Anche in quel caso il protocollo si giustificò con motivi di programmazione e Lindner fu accompagnato da gelide accoglienze nel corso degli incontri che non erano stati annullati.
I liberali non sono gli unici dentro il governo a tenere Pechino sulla corda. Anche i Verdi premono, forse ancor più dell’Fdp, per un cambio di rotta nella politica verso la Cina. E i suoi due ministri di punta (Annalena Baerbock agli Esteri e Robert Habeck all’Economia) sono i principali ispiratori delle linee guida fatte circolare in ambienti imprenditoriali che suggeriscono un graduale e prudente disimpegno degli investimenti in Cina a favore di altri Stati asiatici. Ma proprio nel giorno in cui il mondo politico tedesco si confrontava con il gran rifiuto cinese a ricevere Lindner, al ministero degli Esteri Baerbock incontrava regolarmente il suo omologo Qin Gang.
COSA SI MUOVE IN VISTA DELLE CONSULTAZIONI GERMANIA-CINA
Anche questo faccia a faccia si inscrive nella scia degli incontri bilaterali fra i vari ministri in vista delle consultazioni governative Germania-Cina in programma il prossimo giugno. Altri ne seguiranno, solo Lindner è per il momento tenuto a bagnomaria. Mentre sul versante governativo è l’Spd del cancelliere Olaf Scholz a frenare cambi di rotta troppo repentini, come si è visto nel caso dell’ingresso di Cosco nella quota di minoranza di uno dei tre terminal del porto di Amburgo. Anche perché Scholz sa bene che i vuoti vengono riempiti da altri competitori e pensa che la Germania abbia già dato alla causa occidentale ritirandosi dai mercati russi.