Franco Frattini, il presidente del Consiglio di Stato morto prematuramente di tumore all’età di 65 anni fra il cordoglio generale e meritatissimo, a cominciare da quello del presidente della Repubblica, è il penultimo di una lunga lista di persone perbene onorate solo da estinte. Penultimo, perché questa maledetta lista è sempre provvisoria.
Non più tardi di un anno fa, proprio di questi tempi, il suo nome compariva ogni tanto tra i possibili candidati al Quirinale per la successione a Sergio Mattarella. Che era ancora contrario ad ogni appello a restare, anche quando si levava dalle piazze, diciamo così, e non solo dal pubblico dei teatri o dagli ospiti di turno delle sale del Palazzo della Presidenza della Repubblica.
Ma ogni volta che il nome di Frattini compariva nelle cronache della corsa al vertice dello Stato si facevano spallucce, a sinistra ma anche a destra, come se egli fosse un intruso, o un uomo dalle smodate ambizioni personali, visto che proprio in quei giorni lui stava scalando anche il vertice del Consiglio di Stato. Dove era tornato da magistrato dopo le delusioni – diciamo la verità – procurategli dalla politica.
Per ricordare, delle delusioni, solo la penultima – anche quella – gli capitò da ministro degli Esteri dell’ultimo governo di Silvio Berlusconi, che ieri naturalmente si è speso in elogi e rimpianti, di essere commiserato dall’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia Ronald Spogli. Che nel 2008 in un cablogramma al Dipartimento di Stato finito dopo molti anni sui giornali rivelò “i rifiuti costanti di Berlusconi dei consigli strategici” del titolare della Farnesina. Che pertanto viveva, già pochi mesi dopo la nomina a ministro degli Esteri, “demoralizzato, privo di risorse e sempre più irrilevante”. Parole, ripeto, dell’ambasciatore americano in Italia, ai tempi di Bush.
Ciò dovette contribuire non poco, e giustamente, a spingere Frattini fuori dal partito di Berlusconi quando se ne presentò l’occasione: dopo cinque anni, allorché il pur senatore a vita Mario Monti, succeduto al Cavaliere a Palazzo Chigi nell’autunno del 2011, s’improvvisò attore della campagna elettorale del 2013 con le liste della cosiddetta “Scelta civica”. Bastò la simpatia espressa per Monti perché si riversassero sull’ex ministro degli Esteri da parte dei fedelissimi del Cavaliere le solite accuse di traditore, ingrato e simili.
Fra tutte le cariche ricoperte da Frattini nella parte politica e culturale della sua esperienza umana, in Italia e in Europa, in Parlamento e fuori, credo che due – la prima e l’ultima – gli fossero rimaste davvero nel cuore: la segreteria della federazione giovanile socialista e la presidenza della Fondazione Alcide De Gasperi. E aveva tutti i motivi, il buon Franco Frattini, per esserne orgoglioso.