Giuseppe Conte e i suoi ministri hanno giurato al Quirinale nelle mani del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella leggendo la formula di rito e firmando nel Salone delle Feste del Quirinale.
Il primo a presentarsi davanti al capo dello Stato è stato il premier, seguito subito dal grillino D’Incà e dalla ministra Pisano. Poi sono arrivati tutti gli altri.
Un passo conseguente – il giuramento di oggi – allo scioglimento delle riserva da parte del presidente incaricato di ieri e della presentazione della lista dei 21 ministri del 66esimo governo della Repubblica.
Subito dopo si è svolta il tradizionale scambio della campanella, consegnata a Conte, che subentra a se stesso, dal segretario generale di Palazzo Chigi Roberto Chieppa alla presenza del sottosegretario uscente alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, leghista, e del nuovo sottosegretario, il grillino Riccardo Fraccaro, molto vicino a Luigi Di Maio.
Ma qual è la caratteristica politico-culturale del governo giallo-rosso presieduto da Giuseppe Conte e sostenuto da M5s e Pd?
Una chiave di lettura non peregrina è stata data oggi dal giornalista e saggista Marcello Sorgi, editorialista del quotidiano La Stampa diretto da Maurizio Molinari.
Ecco alcuni brani del suo editoriale odierno:
“Questo è un governo democristiano. Non tanto e non solo per la fede politica di chi lo compone, ma per il metodo e il risultato finale. Democristiano, o neo-dc, è il premier Conte, formato in uno dei più raffinati think-tank del cattolicesimo impegnato in politica, la Villa Nazareth del rimpianto cardinale Silvestrini, dell’attuale segretario di Stato del Vaticano Parolin e di molti altri esponenti della cultura cattolica al servizio dello Stato. Del resto, da quando ha ritrovato la parola, Conte, sottomesso alla dittatura dei vicepremier nel precedente governo, non ha fatto mistero delle sue idee”.
“Democristiano, democristionassimo, è il (bis) ministro della Cultura e del turismo Dario Franceschini, l’uomo-chiave. il vero costruttore, in silenzio, alla vecchia maniera felpata, dell’alleanza giallo-rossa, diversamente da Renzi (dc sui generis), che gli ha dato evidenza mediatica e ne ha sopportato il carico polemico. Di conseguenza, quando s’è trattato di scegliere tra Franceschini e Orlando, vicesegretario di radici post-comuniste, ovviamente non c’è stato match”.
“Democristiani, o di provenienza post-dc, sono gran parte dei ministri Pd: Guerini (Difesa), De Micheli (Infrastrutture), Boccia (regioni), Bonetti (Famiglia e pari opportunità), tal che la maggior porzione di potere assegnata al Pd è in mano a un monocolore. Nè vale la pena indicare le correnti di provenienza: il ceppo è quello. Gualtieri all’Economia è l’unico ministro di peso proveniente dall’ala post-comunista. Gli fanno compagnia, in ministeri senza portafoglio, Amendola alle Politiche comunitarie e Provenzano al Mezzogiorno”.
“Pienamente democristiano è stato il commento di Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, ai risultati del voto on-line della piattaforma Rousseau, martedì sera: dall’orgogliosa rivendicazione della centralità politica del Movimento ai richiami a una terminologia da Prima Repubblica: “ago della bilancia”, “coalizione”, “programma”. Altro che “contratto” e “noi non ci alleeremo mai con nessuno” dei tempi andati”.
“Democristiano, proveniente dalla Margherita, è il ministro Spadafora (Sport e giovani), che ha ospitato a casa sua il primo incontro faccia a faccia tra Di Maio e Zingaretti. Democristiano, amico personale di Mattarella, è il deputato 5 stelle siciliano Giorgio Trizzino, che ha lavorato nell’ombra, riferendo continuamente al Colle e sforzandosi di avvicinare, cucire, smussare e alla fine unire, come vuole l’alta scuola dc”.
“E vagamente democristiano, allievo e amico del premier Conte, è il confermato ministro di giustizia Bonafede. Democristiani, infine, ognuno a modo suo, sono i padri nobili dell’accordo: Prodi e Grillo. Sì, proprio lui, il comico, garante del Movimento, che cominciò la sua carriera televisiva alla Rai scoperto da Pippo Baudo, il simbolo della tv democristiana delle origini, e ne uscì cacciato dai socialisti. Così, dopo un quarto di secolo, finalmente si può dire che la rivoluzione italiana è tornata al punto di partenza”.