Il premier Giorgia Meloni cerca di minimizzare dicendo con un tocco di ironia, che suona però un po’ forzata, che “se si è trovato l’accordo sul cessate il fuoco in Libano, lo si troverà anche sul canone Rai”. E Antonio Tajani assicura che “la maggioranza non traballa”. Mentre l’altro vicepremier Matteo Salvini ricorre alla diplomazia con tono però gelido: “Un accordo si troverà su altro, non voglio litigare con Tajani ma ricordo che gli italiani ci hanno votato per abbassare le tasse”, come dice in un’intervista a La Verità di Maurizio Belpietro.
Quello accaduto ieri nella maggioranza di governo non è un incidente qualsiasi. Non è affatto normale ed è anzi grave che un azionista di maggioranza, quale è Forza Italia, voti, come è accaduto in commissione Bilancio al Senato, con il Pd, i Cinque Stelle e tutto il resto dell’opposizione contro un emendamento della Lega per la riduzione del canone Rai approvato anche da FdI.
Il senatore Claudio Borghi della Lega usa il vecchio adagio andreottiano secondo cui a pensar male…e in questo caso ovvio che il sospetto cada sul fatto che così Forza Italia abbia cercato di favorire Mediaset. Già, a pensar male “è peccato ma spesso ci si azzecca”, diceva Andreotti. Mentre Giovanni Sallusti direttore della salviniana Radio Libertà parla del rischio per Forza Italia di “fare gli utili idioti” della sinistra. Per carità, “senza offesa”, dice Sallusti citando Lenin e l’uso politico che fece di questo termine.
Ma al di là della cronaca di giornata, l’incidente di ieri – sul quale Tajani replica che non si fa dettare la linea da Marina e Pier Silvio Berlusconi che, secondo i rumors sarebbero preoccupati dell’eventuale maggiore concorrenza da parte di una Rai costretta a raccogliere più pubblicità – si inquadra in un clima di sospetti e dispetti dentro la coalizione.
Con Forza Italia ormai partita in quarta all’attacco della Lega di Salvini ma in realtà anche e forse soprattutto di FdI che con Meloni ha piazzato un colpo con l’elezione di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo della Commissione Ue, commissario con pesanti deleghe. Un colpo che rende il partito del premier più competitivo al centro, dal momento che il curriculum di Fitto è proprio quello di un democristiano doc, dc di destra, la Dc “libertas”, quella anticomunista. Poi forzista, di cui il Cavaliere, ma forse soprattutto il suo entourage di allora, fece un errore oggettivo a fare a meno. Altro quindi che isolamento di FdI. Saltata tutta la narrazione della sinistra.
Quanto alla Lega, Salvini, dopo essere stato oggetto di un attacco in cui in buona sostanza Tajani gli ha detto sul caso Netanyahu di non impicciarsi di politica estera, non solo punge FI sulle tasse, ma ricorda anche che “la Lega è la seconda forza della coalizione e ha più parlamentari di Forza Italia”. Che, infatti, ha superato di mezzo punto la Lega alle Europee, non alle Politiche del 2022. Ma già in Liguria la Lega era risalita. E in Umbria comunque non è crollata. Ma perché arrivare al punto che Salvini è costretto a ricordare che ha più parlamentari? E perché questa offensiva a tutto campo di FI, che rilancia pure sullo “Ius Italiae”, proprio a pochi giorni ormai dalla sentenza del processo Open Arms contro Salvini? Disse una volta alla sottoscritta Bobo Maroni sull’orgoglio leghista: “Noi non scompariremo mai. Umberto (Bossi ndr) ha impiantato la Lega con le radici solide come quelle di una quercia. Siamo un partito a fisarmonica che nei consensi si restringe e si allarga. La partita è sempre aperta “. Silvio Berlusconi lo sapeva molto bene e da grande leader , “concavo e convesso”, fondatore del centrodestra, consapevole delle molte affinità tra lui e la Lega soprattutto sulle ricette liberiste e antitasse in economia – affinità poco consone alla politica statalista e dirigista della destra di An di Gianfranco Fini – aveva fatto con Bossi un asse privilegiato. Sembra passata un’ era geologica.
Ma Salvini è l’allievo di “Umberto” e il successore alla guida della Lega designato da Maroni e voluto anche da Giancarlo Giorgetti. Il leader leghista, vicepremier e titolare del Mit è gelidamente diplomatico ma poco dopo l’emendamento dell’azzurro Lotito al Senato sulla sanità calabrese non passa a causa dell’astensione leghista. Continuare a umiliare l’alleato venuto dal Nord non sembra una brillantissima idea. Ferma restando l’assoluta legittimità della diversità d’opinioni ma in una cornice unitaria. Tajani, leader solitamente molto diplomatico e moderato nei toni, era alla Camera, scuro in volto e con atteggiamento spiazzato, da portavoce del premier Berlusconi nel giorno in cui Bossi staccò la spina. Era poco prima del Natale 1994. Non sarà così anche ora. Se non altro per difendere l’Autonomia da attacchi che non rendono tranquillissimi i governatori Luca Zaia e Attilio Fontana. Ma la Lega prima Nord poi nazionale non è mai partito da sottovalutare soprattutto quando si mette troppo sotto pressione il suo orgoglio. “Silvio”, il fondatore del centrodestra, lo sapeva molto bene.
“Noi non siamo un partito unico, stiamo tutti un po’ più calmi” , dice dalle colonne del Corriere della sera il portavoce nazionale azzurro e vicepresidente vicario di FI alla Camera, Raffaele Nevi, deputato umbro, dai modi solitamente molto diplomatici. Con il capogruppo di FI al Senato Maurizio Gasparri, così Nevi motiva lo “strano” voto di FI: “Quella misura avrebbe portato nelle tasche di ciascun cittadino 50 centesimi al mese, ma avrebbe comportato per lo Stato un finanziamento alla Rai di 450 milioni”. Ma, comunque sia, votare con l’opposizione non è mai un bel segnale. Soprattutto per una coalizione che ha fatto dell’unità il valore aggiunto rivelatosi sempre vincente rispetto alla sinistra maestra di divisioni e guerriglie al suo interno.