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filippo facci

Filippo Facci, Bettino Craxi, i serpenti e gli sciacalli

Filippo Facci visto da Paola Sacchi.

Filippo Facci, di cui ormai quasi tutto sappiamo anche per la vita privata, di cui francamente poco ci interessa, ma rimbalzata sui media dopo la polemica in seguito a una sua infelice frase, che ha già detto non riscriverebbe, a proposito del caso della denuncia di stupro a La Russa jr, lo abbiamo conosciuto qualche anno fa a Hammamet.

A casa Craxi, in Route El Fawara, dove ora davanti passa una superstrada, ma ai tempi in cui Filippo andava, come la sottoscritta (senza che ci conoscessimo, ognuno per conto suo), c’era una sterpaglia. A casa Craxi, sulla collina detta in Tunisia “dei serpenti e degli sciacalli”, senza vista mare, per ceto medio impiegatizio, che neppure nei miei articoli da allora inviato speciale dell’Unità ho mai chiamato villa, con tutto rispetto, ma per amore di quel minimo di obiettività che è rimasto nel mestiere di giornalista, io ci arrivai a bordo di una jeep, accompagnata dall’autista Marcello, ex centralinista del Raphael, che seguì “Bettino” in Tunisia.

A un certo punto attraversammo anche un piccolo ruscello. Filippo lo conobbi lì, in occasione del diciassettesimo anniversario della morte dello statista socialista. Ci scambiammo opinioni, impressioni e ricordi. E così scoprimmo che eravamo tra i pochi, rari giornalisti, che andavano a trovare “Bettino” da vivo ed erano ricevuti da lui come amici.

Filippo lo era davvero molto più di me. E, comunque, con tutte le differenze del caso, Craxi di entrambi aveva capito che non eravamo andati da lui per obbedire a qualche input dei media che tendevano a massacrarlo, ma eravamo spinti da umana e non solo professionale curiosità e solidarietà.

Fu Filippo a incoraggiarmi a scrivere dei miei incontri e colloqui con Craxi per un libro-intervista sulla mancata unità socialista, che pubblicai pochi mesi dopo per MaleEdizioni di Monica Macchioni, dal titolo I conti con Craxi, prefazione di Stefania Craxi. “È una storia che va raccontata”, mi incoraggiò Facci.

Mi sono quasi ritrovata in lui poi, nel suo bel libro 30 aprile 1993. Bettino Craxi. L’ultimo giorno di una Repubblica e la fine della politica, Marsilio editore. È la storia della drammatica sera delle monetine, in cui Facci denuncia quell’assedio per una giornata sotto quella che era la residenza privata di un leader, ex premier, cosa mai accaduto nella Repubblica. Facci era con Craxi.

Narra il calcio che lo statista socialista a un certo punto dà all’ascensore, i drammatici attimi in cui se ne frega dei consigli dei poliziotti di uscire dal retro, ma torna immediatamente lucido e signorile, cosa che Craxi è sempre stato anche nei momenti peggiori, e porge le sue scuse, lui, l’assediato, ai turisti del Raphael per essere la causa seppur involontaria di quel casino. Ma il libro è la storia anche di Facci stesso, allora ventenne, e del suo sodalizio con “Bettino” che conobbe solo quando era in disgrazia.

Filippo prima precario all’Unità, poi con un contratto all’Avanti, conobbe Craxi a 25 anni nel 1993, facendogli una telefonata. Poi, diventarono amici, al punto che, come narra, gli arrivavano sul telefono chiamate da Hammamet con gran stupore di chi era con lui: “Aho, guarda che ti ha cercato Craxi!”. Facci scrive che con lui entrò in una confidenza che si poteva trovare solo con persone molto semplici e dirette, che fanno mestieri lontani dal giornalismo e dalla politica. Un’impressione che posso, nel mio piccolo, confermare.

Mi è parso di risentire mia cugina quando un giorno assistì, un po’ incredula, a una mia telefonata con Craxi. Seppur, io, secondo la precisa classifica che fa Facci, nel suo libro, allora inviato speciale dell’Unità, che andava durante le ferie estive a trovarlo in forma privata, fossi tra quelli ricevuti da Craxi allo Sheraton, perché se ne fidava, ma fino a un certo punto. Solo il secondo anno fui ricevuta a Route El Fawara. Craxi era solo. Abbandonato dal suo stesso partito. Aveva tanta voglia di parlare di politica. Non era facilissimo arrivare a lui. Ti faceva come un’analisi del sangue prima, innanzitutto per escludere che uno fosse un cretino poi per capire le motivazioni che ti avevano portato da lui.

Comunque, si può certamente dire che lui non andasse per ordine di importanza, anche tra i giornalisti. Facci, giornalista libero, sempre con il gusto della provocazione, sempre irriverente con i potenti, era tra i rari ad avere la fiducia di quel leader di prima grandezza, che gli costò, come racconta, l’avversione già da allora degli altri giornalisti, tutti schierati sul fronte del giustizialismo. Racconta, Filippo, che a Milano davanti a Palazzo di Giustizia, negli anni di “mani pulite”, da dove era lui fuggivano loro.

Molti hanno scritto di Craxi in questi anni, anche celebrandolo da morto. Non sanno però che significava andare o telefonare a Route El Fawara da lui, ancora vivo, toccare da vicino l’assurdità e la drammaticità di quella situazione, tragedia non solo personale e familiare, ma vera vergogna politica nazionale. Nella casa sulla collina dei “serpenti e degli sciacalli”.

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