L’Amministrazione Biden intende procedere con l’annunciata vendita di nuovi F-16 alla Turchia e di F-35 alla Grecia. Ma se per Atene con ci sono problemi, la strada dell’accordo con Ankara si preannuncia in salita, con mezzo Congresso in rivolta davanti alla prospettiva di dotare la Turchia di un potente sistema d’arma che, stando a varie e ripetute dichiarazioni bellicose di Erdogan, potrebbero essere impiegati per minacciare la stessa Grecia e bombardare i curdi siriani alleati degli Usa, senza parlare della vasta irritazione a Washington per la ritardata ratifica da parte del Paramento turco dell’adesione alla Nato di Svezia e Finlandia.
L’incontro a Washington tra Blinken e Cavusoglu
Il tema degli F-16 è stato al centro dell’incontro tenutosi mercoledì al Dipartimento di Stato Usa tra il capo della diplomazia americana Antony Blinken e il Ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu. È stato il primo meeting tra i due da quando alla Casa Bianca si è insediato Joe Biden due anni fa, e questo la dice lunga sullo stato dei rapporti tra i due alleati Nato, incrinati da una serie di divergenze su dossier maggiori e minori.
Cavusoglu ha fatto buon viso a cattivo gioco, presentando la questione della fornitura dei caccia Lockheed Martin come un obiettivo di comune interesse. “Questo non è importante solo per la Turchia”, ha dichiarato il ministro, con parole riportate da Bloomberg, mentre incontrava il suo omologo Usa, “ma anche per la Nato e per gli Stati Uniti, ecco perché ci aspettiamo un’approvazione in linea con i nostri interessi strategici congiunti”.
Negando la realtà, Cavusoglu ha smentito qualsiasi correlazione tra l’accordo e la ratifica da parte turca dell’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, che Ankara tiene in sospeso invocando la presunta riluttanza dei due Paesi nordici a tenere fede all’accordo preso con la Turchia l’anno scorso di essere pienamente cooperativi in materia di contrasto al terrorismo dei gruppi curdi come il PKK che in Svezia e Finlandia hanno trovato rifugio e appoggi.
Pressato dai reporter, Cavusoglu ha tuttavia dovuto ammettere, come riferisce il quotidiano turco in lingua inglese Daily Sabah, con un tortuoso giro di parole che “i due temi non sono completamente interconnessi”, frase in negativo che tradisce l’esistenza di questa stessa interconnessione. Infatti, ha aggiunto Cavusoglu, “la controparte Usa ha detto che gli sviluppi riguardanti l’accesso di Svezia e Finlandia alla Nato può avere un impatto positivo sulla vendita degli F-16”.
Lo stato dei due accordi gemelli sugli F-16 ad Ankara e sugli F-35 ad Atene
Era stato il Wall Street Journal la scorsa settimana ad anticipare che l’Amministrazione Biden stava per notificare in via informale al Congresso, chiamato ad esprimere il proprio consenso (o dissenso), la propria intenzione di procedere con due accordi paralleli: quello con la Turchia da 20 miliardi di dollari per la vendita di 40 F-16, di 79 kit di aggiornamento per gli F-16 già in dotazione ad Ankara più 900 missili e 800 bombe; e quello con la Grecia per la fornitura di almeno 30 caccia di nuova generazione F-35.
Sommati tra loro, rileva il quotidiano finanziario controllato da Murdoch, gli importi dei due accordi gemelli costituiscono per gli Usa “una delle più grandi vendite estere di armi degli ultimi anni”.
Nello stesso articolo, il Wall Street Journal dava voce ad un anonimo esponente dell’Amministrazione Biden che metteva in chiaro lo stretto legame tra le forniture di jet e il sì di Ankara a Svezia e Finlandia, definendo l’accordo “una carota su un bastone”.
L’ostacolo sulla strada dell’accordo con la Turchia.
Come ha osservato il New York Times, il futuro percorso dei due accordi diverge platealmente. Quello con Atene, definito “non controverso”, è destinato ad una rapida approvazione in Campidoglio, al contrario di quello con la Turchia su cui il Congresso è pronto a dare battaglia in considerazione delle vistose derive del Paese guidato con pugno di ferro da Erdogan.
Il primo a promettere di opporre il proprio veto quando l’Amministrazione Biden formalizzerà la richiesta è il potente senatore democratico del New Jersey, nonché Presidente di quella Commissione esteri chiamata a vagliare gli accordi, Bob Menendez, che si è detto “fortemente” contrario alla vendita degli F-16 alla Turchia.
“Fino a quando Erdogan”, è stata la dichiarazione di Menendez raccolta dal New York Times, “non cesserà con le sue minacce (alla Grecia), non migliorerà la situazione dei diritti umani nel suo Paese, incluso rilasciando giornalisti e oppositori politici, e non comincerà a comportarsi come un alleato affidabile, io non approverò questa vendita”.
Come ha fatto notare Defense News, a rafforzare le convinzioni antiturche di Menendez c’è la realtà demografica del suo Stato, il New Jersey, che ospita non solo la sesta più grande comunità greco-americana degli Usa, ma anche la quarta più grande comunità armeno-americana, accomunate da sentimenti ostili alla Turchia.
Quanto all’altro accordo, quello sugli F-35 alla Grecia, il parere del senatore è diametralmente opposto. “Queste capacità di difesa”, sono le sue parole riportate sempre da Defense News, “sono non solo critiche per un affidabile alleato Nato e per i suoi sforzi duraturi da far avanzare la sicurezza e la stabilità nel Mediterraneo orientale, ma rafforzano anche le capacità delle nostre due nazioni di difendere i principi condivisi, inclusa la nostra difesa collettiva, la democrazia, i diritti umani e lo stato di diritto”.
Per le medesime ragioni un esponente del Caucus Ellenico del Congresso, il deputato sempre del New Jersey e del Partito di Menendez, Frank Pallone, ha rilasciato mercoledì una infuocata dichiarazione contro la Casa Bianca nella quale, oltre ad annunciare di voler contribuire all’azione di ostruzionismo guidata dal suo collega senatore, ha denunciato “la retorica al vetriolo con cui Erdogan minaccia di invadere i territori sovrani della Grecia e di Cipro” e le “assurde e scollegate richieste” con cui il Presidente turco “tiene in ostaggio l’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato”.
Un altro ostacolo sulla strada delle ambizioni turche
Non c’è solo la strenua opposizione di una parte del Congresso a frapporsi tra le aspettative che Ankara nutre di poter presto disporre di una più ampia flotta di F-16. È ancora Defense News a farci notare come, quand’anche prevalesse la linea dell’Amministrazione, la Turchia dovrebbe fare i conti con un altro formidabile ostacolo: l’arretrato di lavoro della Lockheed Martin.
Come ha dichiarato la scorsa estate il Cfo della compagnia Jay Malave, prima di poter soddisfare nuovi clienti la Lockheed Martin dovrà fabbricare e consegnare 128 esemplari di F-16 per rispettare gli accordi presi con altri Paesi. Tra questi ultimi c‘è Taiwan, che è in attesa di 66 modelli.