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Evviva, a sinistra torna il dibattito tra riformisti e massimalisti…

Chi difende e chi critica il guazzabuglio radicaloide chiamato Pd. Il corsivo di Battista Falconi

Colpisce la pur relativa vivacità del dibattito tra riformisti e massimalisti, riapertosi a sinistra e nei dem. Stiamo parlando di una micro-logomachia, di movimenti retorici in risposta alle mosse altrettanto impercettibili di Ruffini, Prodi e Bettini, alla nascita di circoli riformisti come “Più uno”, alla corrente centrista “Crescere” promossa da Guerini, Gori, Delrio, Picierno, Quartapelle e Sensi contro “Energia Popolare” di Bonaccini.

Critiche a Elly Schlein per la gestione non collegiale, per eccessiva radicalità, chiusura identitaria. Esigenza di contrastare iniziative esterne al Partito democratico e di tornare ai mondi sociali trascurati di CL e Cisl. E poi, ma lo si dice meno chiaramente, constatazione dell’inadeguatezza di quelle che Antonio Polito sul Corriere chiama “Opposizioni nelle mani dei sindacati” (CGIL e ANM). Perché così si indeboliscono il Parlamento, la democrazia rappresentativa e si rischiano altri bagni come quello preso dalla CGIL col Jobs Act l’8 e 9 giugno, quando non è stato raggiunto il quorum. Così si va verso la giuridificazione della società, laddove basta l’autoregolazione.

La possibile alternativa a Schlein appare lontana ma l’esigenza di rilanciare una cultura politica di sinistra più moderata c’è e si fanno sentire i critici verso un partito prono a Maurizio Landini, ai Pro Pal che “riempiono le piazze”, alla protesta degli orchestrali contro Beatrice Venezi o, peggio ancora, al delirio egotico di Sigfrido Ranucci, che autorevolmente si candida a successore di Giuseppe Conte per guidare il M5S. Una politica miope, se non suicida. Così, con gli oppositori interni, ora si muovono anche i sostenitori.

Alessandro Robecchi sul Fatto critica la narrazione di un Pd troppo radicale che favorirebbe la destra al governo, denuncia i commentatori moderati e ironizza: per battere Giorgia Meloni servirebbe una “destra light”? Anche Gianfranco Pasquino sul Domani difende il Pd “indispensabile” per contrastare il governo, riconduce le contraddizioni interne a “pluralismo” e “confronto”tra “anime” diverse (quanto tempo che non lo sentivamo dire…) e critica i riformisti che finirebbero per accreditare Meloni. In un’intervista, ancora sul Fatto (il quotidiano vicino ai Cinque stelle ospita i massimalisti dem, sorge un dubbio…), Fabrizio Barca sostiene che bisogna anzi rispondere con maggiore radicalità, ed ecco il referendum sui magistrati, per opporsi alla famigerata tendenza autoritaria di Trump, Netanyahu e Meloni, repressori di Parlamento e dissenso: per carità, in Italia gli argini democratici reggono ma non è vero che il radicalismo sia un problema, come sostiene invece Galli della Loggia.

È quella che Giancristiano Desiderio sul Giornale chiama “La sinistra e l’arte di governare che non ha”. Forse esagerando quando la paragona al fascismo, ma certo le manca una concezione liberale, sobria, meno ideologica, che non presuma di avere il monopolio della legittimità e non tenda a identificare potere e verità, a demonizzare l’avversario. D’altronde, come scriveva qualche giorno fa Claudio Cerasa sul Foglio, la sinistra che va in reazione automatica e speculare, per cui dice B se la destra dice A, inseguendo senza proporre un’alternativa autonoma, rafforza Meloni e governo, facendoli apparire più pragmatici. Contenti loro…

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