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Berlino

Tutto su Kaja Kallas, la liberale progressista alla guida dell’Estonia

Kaja Kallas ha messo l'Estonia alla testa dei paesi Ue che hanno spinto per un impegno comunitario senza indugi al fianco dell'Ucraina. L'articolo di Pierluigi Mennitti.

 

Prima di diventare una dei più strenui sostenitori dell’Ucraina, Kaja Kallas, premier rieletta alla guida dell’Estonia, è stata un simbolo luminoso del liberalismo progressista di stampo nordico. La conoscevano in pochi, più che altro gli addetti ai lavori di quella oscuro capannone della politica che è il parlamento europeo. Deputata sobria e diligente all’ombra dell’Alde, l’internazionale liberale dominata da quel pigmalione del belga Gui Verhosfstadt, Kallas si è fatta le ossa tra commissioni e sessioni plenarie a Bruxelles e Strasburgo.

Una gavetta privilegiata, consona a una figlia d’arte. Suo padre, Siim Kallas, è stato capo del governo prima di lei per un biennio (dal 2002 al 2003) e fondò nel 1994 quel partito estone riformista (Eesti Reformierakond) che lei oggi guida con incontrastata autorevolezza. Fu anche in Europa prima di lei: vicepresidente della Commissione europea e commissario ai Trasporti. Insomma una strada segnata per l’ex studentessa di diritto all’Università di Tartu, il più antico e prestigioso ateneo estone fondato nel 1632 dal re di Svezia Gustavo Adolfo II dove si forma l’élite del paese, poi membro dei consigli di amministrazione di diverse aziende estoni nel campo innovativo delle energie rinnovabili.

LA CARRIERA POLITICA DI KALLAS

In politica la sua carriera è fulminante. Nel 2010 entra nel partito del padre, nel 2011 viene eletta al parlamento nazionale e nel 2014 conquista uno dei sei seggi estoni al parlamento europeo, dove acquisisce velocemente esperienza internazionale. Quattro anni dopo il rientro a Tallin, alla guida dei riformatori liberali, con la decisione di lasciare in anticipo di un anno Bruxelles e dedicarsi alla conquista del potere in patria. Nel 2019 vince le elezioni, ma non riesce a costruire un’alleanza di governo e diventa leader dell’opposizione.

Nel 2021 la rivincita: il governo cade e Kallas viene incaricata di formarne uno suo. Inquieta e decisionista, Kallas passa attraverso due maggioranze, la prima con i rivali del Partito di Centro, la seconda dal 2022 con socialdemocratici e conservatori di Isamaa. Per formare il terzo governo avrà solo l’imbarazzo della scelta: le elezioni di domenica scorsa (oltre il 50% ha votato online) le hanno consegnato una vittoria schiacciante, un 31%, che le permette di valutare qualsiasi opzione. Soprattutto, ha battuto i populisti proprio sul terreno della difesa dell’Ucraina, confermandosi così uno dei leader liberali più affidabili dell’Europa di oggi.

L’ESTONIA AL FIANCO DELL’UCRAINA

Nel mezzo della sua esperienza governativa c’è infatti un’altra data che ne ha forgiato il programma politico: 24 febbraio 2022, il giorno dell’attacco russo all’Ucraina. In quel momento lei, come altri leader dell’area baltica, ha visto confermati i timori, mai del tutto compresi dagli altri partner europei, sul ritorno dell’imperialismo russo. E si è imposta alla testa del gruppo di paesi che hanno spinto affinché l’Ue prendesse le posizioni più dure contro Mosca e fosse al fianco di Kiev senza indugi. Ha fatto la spola tra la capitale ucraina e quelle europee, da Parigi e Berlino, portando la piccola Estonia alla ribalta della politica continentale. Il suo successo è anche la vittoria di una strategia che fa di questo paese baltico una roccaforte atlantista ed europeista di fronte al revanscismo russo.

Il consenso ottenuto è tale da metterla in condizioni di scegliere la coalizione con cui voler governare. Ci sono diverse opzioni sul tappeto, l’unico suggerimento che le ha dato il presidente della Repubblica è di fare in fretta, perché la guerra alle porte di casa richiede un governo forte e nel pieno possesso delle sue funzioni.

Ma nel medio periodo Kaja Kallas potrebbe ritornare da dove era partita, a un’esperienza sovranazionale. La dimensione estone potrebbe apparirle troppo angusta, il richiamo di Bruxelles spingerla a spendere la caratura internazionale acquisita su un altro tavolo. E Bruxelles non è solo la sede dell’Unione Europea ma anche quella della Nato. Dove sembra essere maturo il tempo per una guida al femminile.

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