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Libia Iraq

Eni e Libia: le mosse di Haftar, il dossier Noc e il ruolo degli Emirati Arabi

Tutte le ultime novità in Libia con il ruolo del petrolio e del gas in primo piano. Fatti, commenti e analisi

LE ULTIME NOVITA’ IN LIBIA

In Libia “c’è il rischio” che “entro pochi giorni” la produzione di petrolio precipiti ai livelli più bassi dalla caduta di Muammar Gheddafi nel 2011. L’allerta arriva dal capo dell’agenzia petrolifera libica, Mustafa Sanalla, in una intervista al Financial Times. Si prevede che a causa del blocco dei terminal petroliferi nell’est libico ordinato da Khalifa Haftar la produzione dei pozzi possa arrivare a “72mila barili al giorno”. “La situazione peggiora di giorno in giorno, i blocchi sono illegali e vanno rimossi”, avverte Sanalla.

LA FRAGILE TREGUA DI BERLINO

La fragile tregua uscita da Berlino – come ha sottolineato su Start l’analista Giuseppe Gagliano – si denota anche dallo scontro aperto per il controllo delle uniche fonti di ricchezza del Paese, greggio e gas.

LA DICHIARAZIONE USA

La dichiarazione più dura è arrivata due giorni fa da Washington e non lascia margini di manovra ad Haftar. Le operazioni petrolifere, ha scandito l’ambasciata Usa in Libia «devono riprendere immediatamente».

IL BLOCCO DI HAFTAR

Già da alcuni giorni Haftar aveva fermato le operazioni di carico di greggio in cinque porti sotto il suo controllo. Bloccato il giacimento di Sharara, il più grande del Paese, e quello di El Feel, dove opera anche l’Eni.

LA POSIZIONE DELL’ITALIA

L’Italia è il Paese europeo che per primo si è associato alla condanna americana. Il premier Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio hanno espresso «forte preoccupazione». Per Conte «dobbiamo fermare non solo azioni militari ma anche azioni come queste che possono mettere a repentaglio il recupero di risorse energetiche».

L’ANALISI DEL SOLE 24 ORE

Ha scritto il Sole 24 Ore: “L’impossibilità di dividere l’agenzia petrolifera libica Noc in due tronconi a Est e Ovest è sempre stata una precisa richiesta americana per evitare effetti sui prezzi internazionali del greggio. L’Eni sta subendo per ora perdite contenute poiché il grosso della produzione è nel gas che arriva in Italia dal terminal di Zwara attualmente sotto il controllo della milizia locale legata al presidente del Governo di accordo nazionale, Fayez al Serraj. Ma se il blocco dovesse continuare la produzione potrebbe calare a 72 mila barili al giorno dagli oltre 1,2 milioni”.

I NUMERI SUL PETROLIO

Ogni giorno di blocco costa al paese 77 milioni di dollari, ha comunicato la Noc, la compagnia energetica statale della Libia. Il numero uno della Noc, Mustafa Sanallah, ha detto al Financial Times che già la produzione è scesa dal livello solito di 1,3 milioni barili al giorno a un terzo, circa 400 mila, ma che nei prossimi giorni si aspetta scenderà a 70 mila, quindi quasi a zero. Lo stesso livello dei tempi della guerra civile del 2011 che segnò la fine di Muammar Gheddafi, ha chiosato il Foglio.

LE MIRE DI HAFTAR

Ma quali sono le mire del leader della Cirenaica? “Haftar scommette che la sua parte di Libia potrà resistere più a lungo della parte di Libia ancora sotto il controllo dei suoi nemici, quindi pensa soprattutto alle città di Tripoli e di Misurata – ha scritto Daniele Raineri del Foglio – Così ha ordinato la chiusura degli oleodotti e dei quattro porti lungo la costa a cui attraccano le petroliere. Per non incorrere nell’ira della comunità internazionale è ricorso a un trucchetto, ha detto ai clan locali di dichiarare che sono stati loro a bloccare la produzione di greggio in segno di protesta contro le ingerenze della Turchia, ma nessuno ci è cascato”.

IL RUOLO DEGLI EMIRATI

Raineri ha svelato un particolare per nulla secondario sul fronte pro Haftar che si contrappone al governo di Tripoli sostenuto da Turchia e Qatar: “Negli ultimi dieci giorni i tracciati radar mostrano che gli Emirati Arabi Uniti hanno continuato a far volare aerei cargo militari verso gli aeroporti libici controllati da Haftar. Almeno una ventina di trasferimenti, forse di più, e sono tutti rifornimenti di mezzi per continuare la guerra (forse a bordo c’erano anche consiglieri militari). Gli Emirati sono il primo sponsor di Haftar, più della Russia e della Francia, e continuano a puntare sul proseguimento della guerra”.

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