In Brandeburgo l’Spd ce l’ha fatta: una vittoria di corto muso su AfD, poco più di un punto percentuale, 30,9% contro il 29,2. Ma gli applausi che hanno accompagnato l’annuncio della prima proiezione nella sede elettorale di Potsdam del presidente uscente Dietmar Woidke sono tutti rivolti a lui, non a Olaf Scholz. È la rivincita della forza locale, quella di un presidente amato che è riuscito a sconfiggere anche il vento contrario che arrivava dalla vicina capitale, simbolo di un governo nazionale ai minimi storici del consenso.
È dunque la vittoria di Woidke, nome oscuro all’opinione pubblica europea, ma non ai cittadini del Brandeburgo, il Land che circonda Berlino, un tempo brutto anatroccolo, da qualche anno invece faro del riscatto delle vecchie regioni della Ddr. L’Spd supera AfD in una volata finale (ancora a luglio l’Spd era data al 19%) che il presidente uscente e probabilmente rientrante ha costruito tutta sulle sue spalle, fino all’azzardo di annunciare l’abbandono qualora il suo partito non fosse arrivato al primo posto. Ma il suo successo personale non si è esteso alla coalizione, Woidke non potrà continuare a governare con la stessa “maggioranza di salvezza regionale” (Spd, Cdu e Verdi) che si è affacciata in molti Länder da quando AfD ha scombussolato le carte. L’Spd guadagna addirittura quasi 5 punti rispetto al 2019, ma AfD registra una crescita di quasi 6 e il partito di sinistra di Sahra Wagenknecht (Bsw) raccoglie il 13,5% addirittura alla sua prima uscita. Il terremoto elettorale non si è dunque fermato in Turingia e Sassonia e il risultato generale del Brandeburgo ripresenta le stesse inquietudini. La polarizzazione delle ultime settimane voluta da Woidke ha cannibalizzato gli alleati e questo complica la formazione di un nuovo governo. La Cdu perde 3 e mezzo, raccoglie il suo minimo storico nel Land e sfila al quarto posto dietro la Wagenknecht. I Verdi fanno di peggio: dimezzano il proprio consenso (-6,6) e con il 4,1% non entrano nemmeno nel parlamentino regionale.
Ora per governare Woidke deve trovare la quadratura del cerchio con Cdu e Bsw, destra e sinistra, in un’alleanza inedita che può innescare anche un cortocircuito. È la stessa strada che, con diversi rapporti di forza tra i protagonisti, si tenta di percorrere in Sassonia e Turingia, con poco successo: cambiati gli addendi, il risultato per ora non cambia. Dalle prime analisi di voto risulta che il tema che più ha mobilitato gli elettori di Bsw sia la preoccupazione per il sostegno militare tedesco all’Ucraina. Sarà pure un tema poco regionale, ma il nuovo partito di Wagenknecht non può non tenerne conto anche nella formazione di un governo locale. E così pure i suoi potenziali alleati: fino a dove vorranno e potranno spingersi?
Il prevedibile stallo del Brandeburgo è frutto di inquietudini ma non di disaffezione: l’elettorato partecipa, non diserta le urne. Lo dimostra l’affluenza, che ha sfiorato il 74%, 13 punti in più rispetto a 5 anni fa. Sono inquietudini che peraltro non riflettono una situazione economica difficile.
La stessa esperienza di governo di Woidke è stata positiva. Al suo attivo il presidente può annoverare l’insediamento della gigafactory di Tesla a Gründheide, ma anche la nascita di una rete di piccole imprese legate all’innovazione attorno alla città frontaliera di Francoforte sull’Oder. Poi i piani di riqualificazione della zona mineraria del Lausitz, dove la banca di sviluppo regionale è impegnata a investire i 150 milioni di euro messi a disposizione dalla Banca europea per gli investimenti (BEI) e dal governo tedesco per attenuare l’impatto sociale della trasformazione verde verso la neutralità climatica. E anche la gestione della crisi della raffineria di Schwedt, che si è trovata nella necessità di sostituire i rifornimenti di petrolio russi con un complicato meccanismo di approvvigionamento che ha messo assieme Olanda, Polonia e Kazakistan. E che ha permesso finora di mantenere la produzione e salvare i posti di lavoro, in attesa che un investitore straniero sostituisca definitivamente i russi. Si parla del Qatar.
C’è inoltre da vantare lo sviluppo di Potsdam, la capitale del Land, affrancatasi dall’ombra della confinante Berlino e divenuta uno dei centri economicamente più vivaci della Germania orientale.
È dunque il paradosso di una inquietudine che si diffonde nonostante l’economia della Germania orientale cresca, anche a dispetto di quella nazionale. Se la Germania nel suo complesso è in stallo e vive una delle sue peggiori crisi dalla fine della seconda guerra mondiale, l’economia della sua metà orientale invece cresce. In Brandeburgo, poi, si può quasi parlare di boom, legato proprio allo sviluppo impetuoso dell’energia rinnovabile. La sua crescita economica, pari lo scorso anno al 2,1%, è stata superiore alla media nazionale, seconda solo a quella del Meclemburgo-Pomerania anteriore, altro Land coinvolto nell’espansione delle rinnovabili. I salari sono in aumento da anni. Il tasso di disoccupazione che venti anni fa era al 20%, oggi è al 6,2%, qualche decimale inferiore alla media nazionale.
Ma tutto questo ha rischiato di non bastare di fronte al vento contrario nazionale. La maggioranza degli elettori è depressa, non euforizzata, nonostante la ripresa economica. Il governo semaforo è sempre meno amato, le sue politiche incontrano – a est ancora più che a ovest – un rifiuto che è ormai quasi di principio. Woidke ci ha messo una pezza, e a Berlino la questione Scholz relativa alla sua ricandidatura per la cancelleria nelle elezioni fra un anno è destinata a tenere banco.
Nel frattempo avanzano le opposizioni anti-establishment. In Brandeburgo, come tre settimane fa in Turingia e Sassonia, le due alternative di destra e di sinistra (AfD e Bsw) hanno fatto il pieno di voti e corrodono il consenso dei partiti tradizionali, gettando le istituzioni nel frullatore dell’instabilità. Che partita da est, fra un anno, quando si voterà per rinnovare il governo nazionale, rischia di investire l’intero paese.