L’epicentro del terremoto europeo è certamente Parigi, con la vittoria schiacciante del Rassemblement national di Marine Le Pen e Jordan Bardella che ha doppiato il movimento di Emmanuel Macron, inducendolo a sciogliere l’Assemblea nazionale e indire elezioni anticipate.
Ma un po’ da tutta l’Europa centrale spira il vento di destra. Sicurezza e immigrazione sono i temi, meglio le preoccupazioni, che fanno volare tutte le forze collocate dal centro alla destra dello spettro partitico. Variazioni nazionali sottolineano specificità locali, ma nel complesso il dato è chiaro: a cinque anni dal voto del 2019, il catastrofismo ecologista che preconizzava la fine del mondo prossima ventura è stato sostituito dalle incertezze per la sicurezza perduta, alimentate dall’onda lunga di un’immigrazione sempre più percepita come fuori controllo. Il tutto aggravato dalle inquietudini per una mostruosità come la guerra, che le attuali generazioni europee avevano cancellato dal loro immaginario, e con alle spalle la lacerante esperienza un’altra emergenza disorientante, la pandemia.
In Germania e Austria, cuore profondo del Vecchio Continente, crollano i partiti verdi, che avevano catalizzato la speranza del ceto medio europeo di un futuro ecologicamente pulito a costo zero. Si riducono ai minimi storici le sinistre socialdemocratiche, che cedono consenso a destra e a manca e – è il caso della Germania – pagano incertezze di leadership anche quando governano. I tradizionali partiti di massa cedono il passo alla suggestione di forze nuove, anche piccole, l’importante è che siano fuori dal cono d’ombra del Novecento.
In Germania il voto aperto per la prima volta ai sedicenni presenta conti sorprendenti. I giovanissimi voltano le spalle ai dinosauri della tradizione politica, frammentano il consenso sui tanti partiti minori (se ne presentavano ben 36, favoriti anche dalla circostanza che alle Europee non esiste la soglia del 5%), ma premiano in proporzione una forza estrema come AfD, che risulta primo partito al fianco di Cdu-Csu con il 17%. Nella fascia d’età 16-24 anni, AfD guadagna 12 punti percentuali rispetto a cinque anni fa, i Verdi ne perdono addirittura 23. L’Spd resta al palo, ma il suo consenso è del 9%. Ma in realtà il primo partito sarebbe la somma dei cosiddetti “altri”, sigla che raccoglie appunto i partiti minori, dai vegani ai difensori degli animali, dai pirati ai liberi elettori, fino ai pan-europeisti di Volt o al partito satirico Die Partei (che due seggi a Bruxelles aveva ottenuto già alle scorse elezioni). I giovani chiedono qualcosa di nuovo e hanno già voltato le spalle al tradizionale sistema partitico che aveva ricostruito la Germania – anzi le Germanie – dalle macerie della seconda guerra mondiale, per poi condurle alla riunificazione alla fine del secolo scorso.
Il ruolo di opposizione giova alla Cdu-Csu, il nocciolo duro del Ppe europeo, che con il 30,3% si classifica prima forza politica in Germania, unico vero partito di massa sopravvissuto e ormai lanciato verso il prossimo governo: si voterà fra un anno. La maggioranza attuale esce con le ossa rotte. Batoste per tutti: per l’Spd di Olaf Scholz, che tocca un nuovo minimo storico (ultime proiezioni 13,9%), per i Verdi che tornano al ruolo di partito di nicchia (ultima proiezione 11,9%) e per i liberali che ora ballano attorno a quel 5% che alle elezioni nazionali sarebbe appena sufficiente per non uscire ancora una volta dal parlamento.
Ma il vero successo è di AfD. Le ultime settimane sono state un calvario per il partito di estrema destra con gli scandali che hanno investito i candidati di punta. Nulla di tutto questo sembra aver inciso sul risultato, anche se i sondaggi di un paio di mesi fa attribuivano al partito oltre il 20% dei consensi. Il dato delle urne europee dice 16%, un balzo in avanti di 5 punti percentuali rispetto al 2019, ma tanto basta (e avanza) per diventare il secondo partito della Germania. E uno sguardo a est, dove si voterà per tre elezioni regionali in Turingia, Sassonia e Brandeburgo nel prossimo settembre, indica chiaramente che AfD è ovunque il primo partito e l’unico vero partito di massa. Ha ottenuto il 30% in Meclenburgo-Pomerania Anteriore, il 31% in Brandeburgo, il 32% in Sassonia-Anhalt, il 36% in Turingia e il 40% in Sassonia (un Land che conta le più avanzate città dell’est come Dresda e Lipsia). Ma anche in molti Länder occidentali è la seconda o la terza forza politica.
Anche in Austria si registra il successo dei nazional.liberali, l’Fpö risorto dopo gli scandali che proprio cinque anni fa azzopparono la leadership dell’ex vice-cancelliere Heinz-Christian Strache. Dieci punti percentuali in più fanno schizzare il partito al primo posto con il 27%, staccando le forze tradizionali austriache, i socialdemocratici e i popolari. Il motto della campagna elettorale era “fermare la follia europea”. Come a Berlino, anche a Vienna le forze di governo sono bocciate: i popolari perdono 10 punti, i Verdi più di 4.
Le specificità nazionali riemergono in Polonia, l’unico paese dove la destra nazionalista non guadagna ma perde. In piena luna di miele con il nuovo premier Donald Tusk, i polacchi premiano il partito di centro-destra al governo) Piattaforma civica, PO) con 10 punti percentuali in più mentre il nazionalista Pis ne perde due (a vantaggio però del partito ancora più a destra Konferencja). Le elezioni europee hanno attirato di più il voto urbano, che premia PO, ed è stato snobbato nelle aree rurali, dove invece è più forte il Pis. Ma il voto polacco conferma che l’unico freno all’avanzata dell’estrema destra è oggi rappresentato dal centro-destra più moderato.