Un filo di grande inquietudine percorre le terre dell’Europa di mezzo. Dalla Germania alla Cechia, dall’Ungheria alla Slovacchia, i partiti nazionalisti, oggi va di moda chiamarli con il termine più moderno di sovranisti, conquistano le prime posizioni. Dopo il trittico regionale in Germania orientale (Turingia, Sassonia e Brandeburgo), nei quali si è confermata l’avanzata di AfD, il mese di settembre ha fatto registrare la vittoria in Cechia del partito populista Ano 2021 due settimane fa nelle elezioni regionali e in quelle per il senato, e quella dell’Fpö (il partito della libertà) in Austria, appena domenica scorsa.
Una vittoria chiara, quella dei sovranisti austriaci, accompagnata a una altrettanto netta sconfitta dei conservatori popolari dell’Övp e del loro alleato verde di governo, che ha gettato come previsto il paese alpino in una complessa paralisi politica. Il presidente della Repubblica Alexander Van der Bellen non avrà compito facile nelle prossime settimane nell’individuare un possibile cancelliere e una potenziale maggioranza stabile, neppure in nome del cosiddetto Brandmauer, il muro antincendio contro l’estrema destra. Un termine che in Austria non ha in verità cittadinanza: è d’importazione tedesca e solo di recente è stato adottato e utilizzato dai partiti di sinistra per sollecitare alleanze trasversali che mettessero all’angolo l’Fpö.
Il problema è che che questa volta una tale maggioranza, che peraltro ad ascoltare le voci che arrivano dal palazzo presidenziale sarebbe al momento l’opzione perseguita, metterebbe insieme partiti in ritirata, puniti dagli elettori proprio per il modo in cui hanno governato fino a una settimana prima. Basta dare un’occhiata alle tendenze rispetto al voto di cinque anni fa, che dicono molto di più dei numeri assoluti: l’Fpö è cresciuta di 13 punti, l’Övp ne ha persi poco più di 11 e altri 6 ne ha perduti l’alleato verde. I socialdemocratici sono invece in stallo, ma ai livelli più bassi. Versioni più o meno riverniciate di Grosse Koalition, con aggiunte di verdi o liberali (il partito Neon ha raccolto il 9%) avrebbero il fiato corto e rischierebbero di favorire una nuova, più robusta vittoria dei nazionalisti. Ma anche affidare il destino di una nazione strategica come l’Austria a chi, come il leader dell’Fpö Herbert Kickl, vuole farne una copia dell’Ungheria di Orban, magari per sollevare suggestioni primo-novecentesche di vecchi sodalizi austro-ungarici, rappresenta un salto nel vuoto. È vero che il partito della libertà non è in Austria un paria come AfD in Germania. Anzi, a dirla tutta fa parte da decenni dell’élite al potere nonostante i ripetuti scivoloni: il leader storico Jörg Haider divenne governatore della Carinzia già nel 1989, finché la coalizione locale con l’Övp crollò a causa delle sue lodi per la “corretta politica del lavoro nel Terzo Reich”. L’Fpö ha governato tre volte anche a livello federale, prima addirittura con i socialdemocratici, poi con i conservatori popolari. Nel 2017, Heinz-Christian Strache è arrivato alla carica di vice cancelliere nonostante un passato in ambienti estremistici, finché lo scandalo di Ibiza non ha reso pubbliche le sue fantasie autoritarie.
Ma Kickl ora paga la radicalizzazione del partito, in termini di contenuti e anche di collocazione internazionale. Le ambizioni dichiarate di orbanizzazione, cioè di strette sui diritti civili sul piano interno e di spostamento su posizioni euroscettiche e filo-russe, specie in una fase come quella attuale segnata dalla guerra in Ucraina, rappresenterebbero una rottura sistemica per l’Austria.
C’è poi il bilancio governativo che il partito ha espresso finora, quando è stato chiamato a compiuti di amministrazione, sia sul piano federale che regionale: piuttosto misero, con esperienze che si sono sempre concluse anzitempo per fallimenti su più fronti. Ma questo agli elettori era noto ed evidentemente non ha contato molto ed è semmai un’aggravante per i partiti tradizionali.
Ma in attesa che il presidente Van der Bellen provi a sciogliere i non facili nodi politici interni autriaci, la vittoria dell’Fpö sta ringalluzzendo l’universo sovranista in Europa centrale. Una delle cose che accomuna il successo degli austriaci a quello del partito Ano in Cechia, fino a quelli di AfD da un lato e Bsw dall’altro in Germania è l’ostilità al sostegno militare e strategico all’Ucraina e la voglia di giungere a una forma di compromesso con Vladimir Putin. Una posizione che si va rafforzando nel cuore dell’Europa proprio attraverso il rafforzamento elettorale di partiti che sostengono una tale svolta. Mentre, secondo indiscrezioni del Financial Times, a metà ottobre, approfittando della sua ultima visita in Germania come presidente, Joe Biden avrebbe intenzione di far avanzare la richiesta di adesione di Kiev alla Nato nell’incontro del gruppo di contatto per l’Ucraina, prendendo in considerazione il cosiddetto modello tedesco-occidentale di adesione alla Nato. La Germania Ovest si unì all’Alleanza atlantica nel 1955 per garantire la propria sicurezza, nonostante la sua mancanza di integrità territoriale rappresentata dall’esistenza della Ddr.
L’altro grande tema che ha sostanziato il successo di Fpö e degli altri partiti sopra citati è quello dell’immigrazione. Tema che infiamma le opinioni pubbliche centro-europee e che sta costringendo i partiti moderati tradizionali a varare misure sempre più restrittive, come è accaduto di recente in Germania pur sotto la guida di un governo federale a trazione socialdemocratica e verde. L’immigrazione sarà probabilmente un argomento caldo al prossimo vertice del Consiglio europeo del 17-18 ottobre dove già si arriverà con i malumori di polacchi e austriaci per il ripristino dei controlli di frontiera adottato da Berlino. Ora la Germania vorrebbe rivoltare come un calzino le politiche migratorie perseguite da Angela Merkel e chiede un dibattito serio sulla modifica delle regole di Schengen. Ma ogni discussione su questo punto rischia di essere esplosiva.