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Tunisia

Egoismi e miopie rottamano Draghi

Le previsioni preannunciano: inflazione galoppante, stretta creditizia, possibili razionamenti, ripresa dello spread. E la politica manda a casa chi, per competenza, per relazioni, per un generale riconoscimento internazionale, è il migliore, in grado di far fronte ai relativi problemi. Il commento di Polillo Più che il richiamo al fascismo, o meglio al post-fascismo, sembra che…

Più che il richiamo al fascismo, o meglio al post-fascismo, sembra che alla fine abbia prevalso lo sfascismo. Brutta battuta, che tuttavia rende l’idea della fine ingloriosa di una legislatura: nata male con l’alleanza di tutte le forze populiste – la maggioranza giallo-verde – e morta sull’onda di una ritrovata sintonia tattica. Per quanto non espressa. Con Luigi Di Maio, da un lato, e Matteo Salvini, dall’altro, allora immortalati in un lungo bacio nell’irriverente murale di qualche anno fa. Ed ora separati e distanti. Il primo fedele scudiero di Mario Draghi, il secondo riavvolto nella vecchia felpa, del bel tempo che fu.

Eppure da allora tanta acqua era passata sotto i ponti della Capitale. Le elezioni europee avevano consegnato alla Lega una posizione di rendita straordinaria. Che aveva completamente rovesciato i rapporti di forza tra i due alleati al Governo. Logico anche se del tutto maldestro il successivo tentativo di capitalizzare, chiedendo le elezioni politiche anticipate. Era stato il momento del Papeete: una gestione demenziale della crisi, da parte di Matteo Salvini. Quel suo muoversi scomposto, confidando su un accordo più o meno tacito con il Pd di Nicola Zingaretti, che Matteo Renzi aveva fatto saltare in men di un battibaleno.

Risultato? L’estromissione della Lega e la nuova maggioranza giallo-rossa. Con Giuseppe Conte, fino al giorno prima semplice “notaio”, costretto a mediare tra i suoi due vice (Di Maio e Salvini), che si trasforma nel Presidente del consiglio effettivo: il responsabile della politica nazionale, secondo la definizione dell’articolo 95 della nostra Costituzione. Un errore appariscente, quello di Salvini, che inciderà progressivamente sulla base di consenso politico della Lega. Ed infatti da allora, la crescita di Fratelli d’Italia sarà continua. Offrendo a Giorgia Meloni la leadership dell’intero schieramento.

C’era una possibilità di recupero? Forse sì. Occorreva interagire con il Programma Draghi, avendo come prevalente punto di vista i grandi interessi nazionali, e non le preoccupazioni di questa o di quella categoria sociale: dai tassisti ai balneari. Non che quegli interessi non fossero degni di tutela, ma cercando le soluzioni più opportune. Per far sì che si potesse salvare capre e cavoli. Garantire la concorrenza, ma anche difendere interessi degni di tutela. Sforzo che non è stato nemmeno tentato. Del resto non sarebbe stato semplice. Più facile immaginare goffi tentativi di viaggi verso il Cremlino, come quello annunciato dallo stesso Salvini, per svolgere un’improbabile iniziativa di pace. Non avendo nemmeno l’accortezza di acquistare i relativi biglietti di viaggio.

Di fronte a questo vuoto programmatico, era inevitabile che prevalessero le semplici tattiche politiche. Giuseppe Conte, con le sue follie, aveva servito il tutto su un piatto d’argento. Al centro destra non rimaneva, pertanto, che sfruttare l’assist e puntare direttamente sulla prossima campagna elettorale. Il vento in poppa, grazie ai sondaggi, il fallimento del cosiddetto “campo largo”, quale garanzia di una vittoria scontata. Sarà così? Staremo a vedere.

Alcune incognite sono evidenti. Quella sorta di plebiscito a favore della permanenza di Mario Draghi dovrebbe far riflettere. Sarà stato pure organizzato, come si consolano alcuni leader del centro-destra. Ma comunque c’è stato. Corale, forte, per alcuni versi vibrante. Al punto da scuotere la flemma dello stesso Presidente del consiglio. Costretto a prenderne atto, nel suo discorso al Senato. Per poi indicarlo ai suoi possibili interlocutori. “Serve un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto, come quello che ci ha permesso finora di cambiare in meglio il Paese – aveva detto – I partiti e voi parlamentari – siete pronti a ricostruire questo patto?”. Ma non è a me che dovete dare queste risposte le “dovete dare a tutti gli italiani”.

Fin troppo facile le reazioni negative da parte di alcuni. Draghi vuole i “pieni poteri”: posta Giorgia Meloni. Cerca una “delega in bianco”: lo accusa Mariolina Castellone dei 5S. Ma è solo la dimostrazione di quella distonia che ha caratterizzato l’intero dibattito parlamentare. Da una parte chi si misura con i problemi reali del Paese, prospettando le possibili soluzioni. Dall’altra chi vorrebbe solo incrementare il proprio bottino elettorale. Nel mezzo una crisi economica e sociale che, nei prossimi mesi, rischia di divenire drammatica e di coincidere con l’apertura delle urne. Come si misceleranno tra loro questi diversi elementi?

La cosa che più sorprende, in questa storia, è il tasso di irresponsabilità collettivo. Le previsioni preannunciano un mare in tempesta: inflazione galoppante, stretta creditizia, penuria di prodotti energetici, possibili razionamenti, necessità di interventi selettivi da parte dell’Europa per evitare di colpire i Paesi più fragili, Italia in testa. Ripresa dello spread. Ebbene di fronte a questa catastrofe annunciata, la politica manda a casa chi, per competenza, per relazioni, per un generale riconoscimento internazionale, è il migliore, in grado di far fronte ai relativi problemi. E questo perché il Viminale non può essere retto, ancora solo per qualche mese, dalla Lamorgese o la sanità da Speranza. C’è da non crederci.

Ed in effetti non bisogna crederci. La molla che ha guidato gli istinti primordiali dei vari protagonisti è stata quella descritta in precedenza. Una nuova “gioiosa macchina da guerra”, questa volta battente bandiera diversa, pronta a conquistare, a destra, l’ambito trofeo. Fu la grande illusione delle elezioni del 1994, che il neonato partito di Silvio Berlusconi, vinse contro ogni previsione. Per la storia italiana più recente, una novità sconvolgente. Che tuttavia si ripeté con il successo dei 5S nelle elezioni del 2018. A dimostrazione di quanto possa essere volubile l’elettorato italiano. E quanto elevata la sua volatilità. Ed allora prudenza nelle analisi e nelle previsioni. Non vorremmo, alla fine, dover chiosare le parole del bollettino della Vittoria (4 novembre 1918): “i resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”.

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