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Javier Milei

Ecuador, come va lo spoglio delle presidenziali

L'approfondimento di Livio Zanotti sulle elezioni presidenziali in Ecuador in vista del ballottaggio dell'11 aprile

 

Una risma di schede o poco più condizionerà l’elezione del capo di stato il prossimo 11 aprile e già infiamma piazze e istituzioni dell’Ecuador. Non ancora del tutto concluso, lo scrutinio del primo turno elettorale svoltosi domenica scorsa, ha un finale da thrilling politico-elettorale. È un confronto serrato oltre ogni previsione: voto a voto tra il banchiere neo liberista Guillermo Lasso, espressione della borghesia imprenditoriale della costa, e il cinquantenne ingegnere quechua Yaku Perez, che rappresenta il nuovo protagonismo indigeno. Il vincitore tra i due affronterà nel ballottaggio il primo degli eletti con il 32,1 per cento, Andrés Arauz, un populista di sinistra patrocinato dall’ex presidente Rafael Correa, costretto da varie ancorché controverse vicende giudiziarie in esilio a Bruxelles.

Appena chiuse le urne, domenica notte, restavano da verificare ancora qualche migliaio di suffragi sparsi nei seggi più periferici, su oltre 10 milioni di votanti. Con grande sorpresa il leader indio risultava sia pure di strettissima misura in vantaggio sul banchiere, al quale i sondaggi della vigilia attribuivano unanimi il primo o il secondo posto. Sostenuta dai commenti giornalistici, l’impressione prevalente era che la straordinaria mobilitazione delle popolazioni autoctone aveva trascinato anche parte dell’elettorato meticcio (maggioranza nel paese) e deciso il risultato. A predire con ostentata sicurezza il recupero di Lasso era solo Rafael Correa dal Belgio e il suo appariva un pronostico interessato. Yaku Perez sarebbe infatti un avversario molto più difficile di Lasso.

Ma Lasso ha in effetti annullato lo svantaggio e guadagnato 5 centesimi percentuali sul rivale immediato: 19,66 contro 19,61. Il migliaio di voti residui tuttavia da scrutinare vengono inoltre da zone in cui prevale un elettorato conservatore che dovrebbe quindi favorire il banchiere. Un confronto tanto serrato non ha precedenti e si presta alle contestazioni, che già sono cominciate e diventano più animate con il trascorrere delle ore. A spiegare l’eccezionalità, oltre all’indubbio richiamo della figura Yaku Perez, che il partito dei popoli originari Pachakutik ha sostenuto con energica convinzione, c’è l’insolita frammentazione partitica che ha prodotto ben 16 candidati, la grande maggioranza dei quali espressione dell’area di centro-sinistra.

Per sensibilità sociale e programma economico si colloca nella medesima area anche il partito di Yaku, il quale però tiene a rimarcare soprattutto la sua identità etnico-culturale e l’obiezione etica che senza tregua lo porta da tempo ad accusare di corruzione quello di Correa e del suo erede, Andrés Arauz. Se come tutto ormai porta a credere, Lasso prevarrà letteralmente per un pugno di voti, il calvinismo andino di Yaku e dei suoi sostenitori che già gridano alla truffa, non si stancherà di pretendere il riconteggio dei voti. La possibilità di errori è del tutto ragionevole. Nessuna analogia né congettura con la vicenda elettorale degli Stati Uniti sarebbe giustificata. Non assalteranno alcun palazzo del potere, non è nel loro spirito. Ma di tenacia ne hanno più di chiunque altro, non a caso hanno resistito fino a risorgere dopo 5 secoli di persecuzioni ed emarginazione.

Se infine riterranno di dover riconoscere la pur striminzita vittoria dell’avversario, i due mesi che mancano alla seconda e definitiva prova delle urne risulteranno comunque tumultuosi. Furibonda sarà la girandola degli accordi elettorali, sui quali le affinità politiche influiranno assai meno delle obiezioni di principio e delle rivalità regionali e personali. C’è da credere che il voto indigeno preferirà il banchiere conservatore e bianco (alla disperata ricerca del successo, dopo tante battaglie perdute negli ultimi 10 anni) al populismo meticcio degli eredi di Correa. Seguiti, forse, da più d’uno dei partitini d’una sinistra che non ha amato Correa neppure quando l’ha votato (semmai ne ha subito l’abilità e il carisma). Per evitarlo, l’ex presidente sta certamente già muovendo accortamente tutti i suoi pezzi sulla scacchiera politica dell’Ecuador.

Livio Zanotti

ildiavolononmuoremai.it

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