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Ecco le ultime provocazioni di Conte contro Draghi

Che cosa pretende (ovvero l'impossibile) Conte da Draghi per confermargli la fiducia. I Graffi di Damato

 

Mentre si moltiplicano in Italia e all’estero, al di là e al di qua dell’Atlantico, fatta eccezione per Mosca, gli appelli a favore di Draghi in vista della verifica parlamentare di mercoledì, in quella il giornale dei vescovi italiani Avvenire ha definito “l’ora dei doveri”, Giuseppe Conte ha stretto ulteriormente il cappio al collo del presidente del Consiglio. O, se preferite un linguaggio più lieve, gli ha lanciato l’ennesimo ultimatum, che una volta persino il suo sfottente “garante” Beppe Grillo definiva “penultimatum”. Ma che stavolta potrebbe rivelarsi un ultimatum vero, destinato tuttavia ad esplodere in mano al presidente del MoVimento 5 Stelle con una ulteriore scissione a favore di Luigi Di Maio. La cui uscita con una sessantina di parlamentari al seguito è in fondo alla vera origine della crisi congelata dal presidente della Repubblica respingendo le dimissioni del presidente del Consiglio e rinviandolo alle Camere.

Se nelle sue comunicazioni di mercoledì Draghi non dovesse accettare le nove condizioni di “discontinuità” e “cambio di passo” postegli dal movimento in un documento consegnatogli personalmente da Conte a Palazzo Chigi, i parlamentari gli negherebbero la fiducia non più uscendo dall’aula ma rispondendo no all’appello nominale. Ma se Draghi, orientato sino a ieri a non arrivare neppure alla votazione, andando al Quirinale a confermare le sue dimissioni dopo avere replicato agli interventi nella discussione, dovesse accettare la sfida di Conte e lasciare quindi votare, dai 30 ai 50 parlamentari del movimento – secondo le valutazioni, rispettivamente, di Repubblica e del Corriere della Sera – potrebbero accordargli la fiducia ugualmente. A quel punto a dimettersi dovrebbe decentemente essere non Draghi da presidente del Consiglio ma Conte da presidente, peraltro neppure parlamentare, di un movimento ridotto davvero ai minimi termini. Gli rimarrebbe forse solo la solidarietà di quella specie di pasionaria delle 5 Stelle che è diventata la vice presidente del Senato Paola Taverna, avvolta nel suo linguaggio romanesco di lotta.

Draghi, dal canto suo, come lo ha appena incitato praticamente il segretario del Pd Enrico Letta, potrebbe anche accettare di rimanere, perdendo forse solo qualche ministro o sottosegretario. E Conte non potrebbe più accusarlo o solo sospettarlo di avere fomentato la scissione di Di Maio, essendo chiara la responsabilità tutta sua della crisi pentastellata. Forse anche il silente Beppe Grillo, neppure lui estraneo a tale deriva col suo disordine politico e caratteriale, smetterà sul proprio blog di distrarsi al telescopio ammirando le stelle ben più lontane di quelle del movimento da lui fondato nel 2009 col compianto Gianroberto Casaleggio.

Stelle poi? Polvere di stelle, direi, parafrasando un ben più fortunato film commedia del 1973 diretto e interpretato da Alberto Sordi, e Monica Vitti co-protagonista. Volete metterli davvero a confronto coi pentastellati di oggi? Dallo stesso Grillo a Conte, dalla Taverna al capo – addirittura – della delegazione al governo Stefano Patuanelli, senatore della Repubblica? Il quale ultimo prima rimane al suo posto di ministro dell’Agricoltura pur non avendo votato la fiducia nell’aula di Palazzo Madama, poi rifiuta le dimissioni chieste a lui e agli altri ministri – ma smentite in poche ore – da Conte, infine si dichiara disposto a lasciare solo se davvero lo stesso Conte glielo chiedesse prima della verifica parlamentare di mercoledì.

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