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Tunisia

Ecco la vera origine dello scontro di potere nel Pd

Che cosa celano davvero le dimissioni del segretario del Pd Nicola Zingaretti

 

Quella di Nicola Zingaretti rischia di essere la storia di un comunista stralunato che, all’improvviso, si trova circondato da alieni, o giù di lì. Le correnti del Pd. Quelle oscure creature, spesso cangianti ed evanescenti, alla fine sono riuscite ad impedire ogni direzione unitaria. E costringere una persona, forse fin troppo sensibile, ad arrendersi e gettare la spugna. Ma cosa sono queste oscure potenze, da dove vengono, soprattutto a cosa mirano?

Il loro identikit non ė difficile. Nella maggior parte dei casi la loro origine è la vecchia casa democristiana. La sinistra di quel partito, uscita indenne dal terremoto di “mani pulite”. Accasatesi tra i post-comunisti, nelle loro continue metamorfosi organizzative: Pci, Pds, Ds, Pd. Ma senza mai amalgamarsi completamente. Troppo diverse le pratiche politiche seguite. Troppo forte la loro voglia di egemonia, nei confronti degli alleati per necessità, più che per scelta consapevole. Differenze destinate ad emergere nei momenti più torridi della politica italiana.

Del resto non era facile comportarsi diversamente. Erano entrati in un’organizzazione atipica rispetto agli schemi dell’occidente. Vissuti, fino alla svolta della Bolognina, nel mito del centralismo democratico. In una struttura in cui le correnti erano sinonimo di correntismo, degenerazione piccolo borghese di una religione laica. Al servizio di una classe – quella operaia – il cui destino era quello di determinare l’emancipazione dell’uomo ed il passaggio dell’umanità dal regno della necessità a quella delle libertà. Loro che, invece, applicavano alla politica gli stessi schemi concorrenziali di quel mercato, che i comunisti consideravano sterco del demonio.

Nonostante le crepe più evidenti, il matrimonio era durato a lungo. Ma era durato come tutti i matrimoni contratti più per necessità, che per amore. Con i due coniugi pronti ad ogni sotterfugio pur sottrarsi alle regole di fedeltà imposte. Ed ecco allora il conflitto permanente e sotterraneo tra Massimo D’Alema e Romano Prodi. Non che gli stessi comunisti andassero d’amore e d’accordo. Al contrario le lotte fratricide, fin dai tempi di Antonio Gramsci, nelle carceri fasciste, erano stati cruenti. Ed anche dopo: basti pensare al travagliato rapporto tra Palmiro Togliatti e Pietro Secchia. Ma quelli erano gli anni del ferro e del fuoco.

In epoca più recente, dopo la presenza assorbente di Enrico Berlinguer, di nuovo i contrasti tra Achille Occhetto e Massimo D’Alema. Quindi sempre tra quest’ultimo e Walter Veltroni. Ma nei confronti di Romano Prodi la reazione dei post-comunisti era stata ancora più subdola. Quei cento e più voti ch’erano mancati, all’improvviso, per la sua elezione a Presidente della Repubblica. Aprendo la strada a Sergio Mattarella. Cattolico di sinistra, supportato da Matteo Renzi, allora segretario, pronto a mettere in discussione gli accordi del Nazareno con Silvio Berlusconi (che voleva Giuliano Amato) pur di segnare un punto a favore più che della corrente, del modo di vedere dei cattolici di sinistra.

Da allora quel conflitto non si è mai placato, ma è divenuto più virulento. Soprattutto a seguito della bocciatura del referendum costituzionale. Altro forte contrasto con una parte del partito. Poi Nicola Zingaretti ne aveva preso il posto. Aveva potuto plasmare, a sua immagina e somiglianza, l’Assemblea nazionale, con il 70 per cento (così si dice) dei voti a suo favore. Ma i parlamentari erano, in larga maggioranza, di nomina renziana. Ed alla fine quella frattura, inizialmente sommersa, è tornata in superficie.

Fino a che punto ha inciso l’eccessivo sbilanciamento del nuovo segretario nei confronti dei 5 stelle e di Giuseppe Conte? Si vedrà nei prossimi mesi. Molto dipenderà dalla scelta della futura legge elettorale (proporzionale o maggioritaria). Ma fin da ora non si può non notare la maggiore insofferenza dimostrata dagli ex Dc. A partire dallo stesso Matteo Renzi, che pure era stato uno degli artefici dell’operazione, che aveva garantito all’avvocato del popolo la permanenza a Palazzo Chigi.

La verità è che i 5 stelle somigliavano (oggi forse un po’ meno), con i loro riti, ai comunisti della prima ora. La centralizzazione del comando nelle mani dell’Elevato o di chi per lui. Il prevalere del puro e semplice assistenzialismo. La negazione di ogni valore riferito al passato. E via dicendo. Elementi sufficienti per accentuare un malessere. Mentre Nicola Zingaretti sembrava prono al loro volere. Ed alla fine la reazione, per troppo tempo repressa, non poteva mancare. Non il frutto di una guerra fratricida, ma solo l’emergere di culture divergenti. Per troppo tempo trattenute.

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