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Armin Laschet Cdu-Csu

Ecco idee e programmi del merkeliano Armin Laschet, neo presidente della Cdu

Chi è (e che cosa pensa)Armin Laschet, nuovo presidente della Cdu in Germania. L'approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

 

E’ Armin Laschet il nuovo presidente eletto dal congresso della Cdu in Germania. Laschet ha vinto il ballottaggio contro Friedrich Merz con 521 voti contro 466. Il neo presidente del partito cristiano-democratico ha ringraziato per la fiducia: “Sono consapevole della responsabilità”, ha detto. “Farò in modo che anche alle elezioni federali l’Unione possa decidere il cancelliere”, ha affermato. La scelta del candidato alla cancelleria verrà presa in primavera.  (Redazione Start Magazine)

ESTRATTO DELL’APPROFONDIMENTO DI PIERLUIGI MENNITTI CON IL PROFILO DI LASCHET PUBBLICATO NEI GIORNI SCORSI:

Laschet muore dalla voglia di succedere ad Angela Merkel. Quando due anni fa venne eletta alla presidenza Kramp-Karrenbauer, lui, sibillino, assecondò l’idea che la guida del partito non dovesse automaticamente portare alla candidatura a cancelliere: a tempo debito, il partito avrebbe scelto chi avesse offerto maggiori garanzie di successo.

Laschet prova a recuperare smalto con un programma snello di 10 punti, presentato assieme a Spahn qualche giorno fa. Una traccia anche per la campagna elettorale prossima, Impulso 2021. L’indicazione dell’anno suggerisce che non si tratti di un programma dal respiro ampio come fu l’Agenda 2010 di Gerhard Schröder, l’ultima proposta riformistica che la Germania ricordi. Piuttosto di un piano a breve termine, per conquistare il partito e portarlo al voto. C’è un po’ di tutto: da una moratoria per gli oneri delle aziende sfiancate dalla pandemia, alla tolleranza zero verso criminalità ed estremismi (di destra e di sinistra). L’unico punto con un po’ di prospettiva è la promessa di istituire nel futuro governo un ministero per la digitalizzazione. Il decennio che si apre, dicono Laschet e Spahn, sarà quello della modernizzazione. Il che suona anche come una velata critica (o autocritica) alla lunga stagione governativa di Merkel: la realtà è che la Germania deve ancora rincorrere la trasformazione digitale che altri grandi e medi player globali hanno già intrapreso da tempo.

Il programma con cui Laschet si presenta al congresso ha un respiro intimistico e punta molto sul “core business” merkeliano, con qualche concessione all’ala conservatrice: unità nel partito, armonia tra le diverse componenti che dovranno tutte essere rappresentate ai vari livelli organizzativi, una buona dose di europeismo unita al principio del multilateralismo (rapporto atlantico ma anche dialogo con Russia e Cina), netta chiusura verso il populismo di destra di Afd. Su quest’ultimo punto, Laschet appare più credibile di Merz, al quale si imputa polemicamente la voglia di spostare il partito a destra. Laschet non ritiene che i voti di Afd possano e debbano essere recuperati: il rischio è di perdere quelli al centro conquistati con la politica di Merkel. La sua Cdu non inseguirà l’agenda dei nazional-populisti, terrà ferma la barra al centro: è l’unico modo per non farsi fagocitare.

Una linea che poggia su un punto di forza: la vittoria nel 2017 alle elezioni regionali del Nord Reno-Vestfalia, un Land chiave per gli equilibri politici tedeschi. Afd, che viveva in quel momento il suo momento migliore, si fermò al 7,4%. Dei suoi due avversari congressuali, nessuno può vantare un successo sul campo così benaugurante: non Merz, che non si è mai candidato alla guida di un Land, figuriamoci Röttgen, che nel 2012 perse proprio il Nord Reno-Vestfalia. Laschet lo ripete sempre, sornione: per guidare un partito dalla vocazione governativa bisogna pur saper vincere un’elezione.

Nato ad Aquisgrana nel 1961 in una famiglia originaria della Vallonia ed emigrata dall’altra parte del confine negli anni Venti del Novecento, Laschet è approdato nella Cdu a 18 anni, sulla scia di una formazione e militanza cattolica. Studi giuridici a Monaco e Bonn, quindi esperienze di giornalista freelance nei giornali cattolici della sua città. Nel 1989 entra in consiglio comunale, nel 1994 viene eletto al Bundestag, ma perde il seggio diretto nelle elezioni successive. Nel 1999 ritenta, questa volta con successo, la via parlamentare, ma in Europa. Gli anni al parlamento di Strasburgo rafforzeranno la sua inclinazione europeista, ma nel 2005 torna a casa per diventare ministro dell’Integrazione nel suo Land, il Nord Reno-Vestfalia. Gli affibbiano il nomignolo di “Armin il turco”, sfottendolo bonariamente per le sue posizioni aperte e tolleranti verso l’immigrazione. Resterà uno dei suoi tratti distintivi e Laschet sarà il più tenace sostenitore della politica delle porte aperte di Angela Merkel. Una posizione che non gli aveva impedito, qualche anno prima, di difendere da un attacco della stessa Merkel il socialdemocratico Thilo Sarrazin, autore di un libro che fece scalpore, critico verso l’immigrazione musulmana (“La Germania si distrugge da sola”).

L’unico altro punto di frizione con la cancelliera (di cui da otto anni è vice nel partito) è sulla politica energetica. Come esponente del Nord Reno-Vestfalia, il Land che ha segnato la storia mineraria della Germania, ha sempre considerato una fuga in avanti l’accelerazione imposta all’abbandono del carbone. Per il resto il suo motto è: nessuna rottura con l’era Merkel, ma continuità, armonia nel partito, coinvolgimento di tutti. L’unione con Spahn è un segno della sua capacità di creare alleanze e lo smalto ritrovato dalla cancelliera ai tempi della pandemia è un punto a suo favore nei giochi congressuali. Nonostante il recupero dei suoi contendenti, entra nel congresso digitale come il favorito. A febbraio compie 60 anni. Spera di festeggiarli come presidente della Cdu e di prepararsi a tendere la rete che intrappolerà i suoi nuovi contendenti interni alla cancelleria.

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