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Big Tech

Tutti gli intrecci delle Big Tech con le istituzioni Usa. L’analisi di Fabbri (Limes)

Quanto sono davvero potenti le Big Tech Usa? E che rapporti hanno con le istituzioni americane? L'approfondimento di Dario Fabbri, analista geopolitica, esperto di Stati Uniti e consigliere scientifico della rivista Limes diretta da Lucio Caracciolo

 

Dario Fabbri, analista geopolitico e consigliere scientifico della rivista Limes, mette in dubbio le convinzioni, molto radicate nel Vecchio Continente che attribuiscono alle aziende della Silicon Valley un grande potere, quasi superiore a quello della politica americana.

Lo spunto, e la conferma a questa teoria, arriva dall’atto di censura da parte dei social network Twitter, Facebook e Instagram ai danni dell’ex presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump. 

Le Big Tech non hanno inventato nulla 

Nell’immaginario europeo, secondo Fabbri, le grandi aziende tecnologiche statunitensi sarebbero composte da grandi inventori “soggetti indipendenti, sovraordinati” di grande fantasia tecnica e tecnologia. La realtà sarebbe ben diversa perché le big tech statunitensi non avrebbero inventato nessuna delle tecnologie di cui dispongono. Fabbri parte dall’invenzione di Internet che non si deve a un’azienda privata ma alle ricerche del Pentagono che necessitava di una rete interna per inviare comunicazioni sensibili, allo stesso modo i microprocessori, unità alla base di ogni computer o telefono cellulare, è stato inventato dalle forze armate americane e provato per la prima volta sugli F14, successivamente sui sottomarini nucleari e sui missili balistici intercontinentali. Anche i telefoni cellulari sono invenzioni militari, risalgono alla prima guerra del Golfo e rispondevano all’esigenza rendere possibili le comunicazioni satellitari. 

L’interesse nazionale vince su tutto

Il potere delle big tech appare, dunque, immediatamente diminuito se si pensa che la tecnologia della quale dispongono non è di loro produzione (e dunque proprietà) ma deriva dalle ricerche militari dello Stato federale. Inoltre “queste aziende non esistono nell’Iperuranio o in un satellite dell’Impero ma nel cuore stesso degli USA. Gli USA non sono un paese convenzionale, l’intervento dello Stato, sebbene mistificato alla propaganda liberista americana, cui ancora molti credono soprattutto in Italia – continua Fabbri – è invasivo in un contesto come quello statunitense”. Per dirlo con altre parole, queste aziende non si muoverebbero in maniera autonoma ma farebbero esattamente ciò che conviene all’interesse nazionale americano perché sono consapevoli di non disporre della tecnologia che utilizzano. “E sanno – aggiunge Fabbri – che alla prossima infornata di tecnologia che lo stato federale realizzerà potrebbero essere tagliate fuori” e quelle nuove tecnologie attribuite ad altre aziende. 

Il patto tra lo Stato federale e le big tech 

Nel rapporto tra aziende tecnologiche e Stato federale gioca un ruolo l’intelligence americana. Nel 1890 lo Sherman Act ha distrutto i monopoli delle grandi aziende petrolifere americane mettendo al bando cartelli e monopoli tra gli Stati federali. Allo stesso modo, secondo Fabbri, l’Amministrazione federale si esime dall’approvare leggi stringenti in materia di privacy e antitrust a patto che le Big Tech si adoperino al fine di servire nell’interesse nazionale. Del resto i dati di cui dispongono i social network e che ottengono in maniera gratuita perché perché ognuno di noi li concede gratuitamente restano sul territorio statunitense e sono messi a disposizione dell’amministrazione americana. 

Trump è stato davvero silenziato dalle Big tech?

Nelle ultime settimane tutte le piattaforme tecnologiche statunitensi hanno deciso all’unisono di bandire l’ex presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump. Il dibattito inscenato in Europa sulla libertà di espressione e sullo strapotere delle Bg Tech sarebbe fuori fuoco secondo Fabbri, perché anche la censura ai danni di Trump risponderebbe a una richiesta degli apparati federali americani. “Se è vero che queste aziende sono fragilissime, che dipendono dallo Stato federale per le loro tecnologie e che possono essere espulse dal mercato attraverso leggi ferree – conclude Fabbri – allora non è possibile che abbiano deciso da sé anche perché molte stanno pagando dal punto di vista finanziario la decisione di bandire Trump. Eliminare Trump, un signore che provoca grande traffico sui social network, non può essere una scelta felice dal punto di vista finanziario. Una scelta che evidentemente concordata, o anche imposta, dagli apparati federali americani”. 

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