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Ecco fini e rischi del progetto Usa nella guerra Russia-Ucraina. L’analisi di Fabbri (Scenari)

Secondo il progetto americano, la Russia dovrebbe impantanarsi in Ucraina, sprofondando nella crisi economica e nella claustrofobia culturale. Eppure la strategia Usa è portatrice di numerosi rischi. Ecco quali. L'analisi di Dario Fabbri, curatore del mensile Scenari del quotidiano Domani diretto da Stefano Feltri

“Per Washington la guerra è l’elisir per la supremazia planetaria”, è il titolo dell’analisi di Dario Fabbri, curatore del mensile di geopolitica Scenari del quotidiano Domani, tratta dall’ultimo numero.

Dopo lo sconforto iniziale, l’amministrazione Biden ha cominciato a sostenere massicciamente la resistenza Ucraina. Colta la natura ingiustificabile dell’azione russa, priva perfino di un posticcio casus belli di cui almeno gli americani si dotarono nella campagna di Iraq, ha posto la propria impareggiabile macchina mediatica a disposizione del governo di Kiev,  trasformando nottetempo Zelensky in una indiscussa icona internazionale, capace di rivolgersi con notevole efficacia  soprattutto all’opinione pubblica occidentale, ossia quella che dovrebbe sostenere i costi economici delle sanzioni indirette applicate al Cremlino.

Washington ha nettamente incrementato il sostegno fornito alle Forze armate ucraine. Biden ha annunciato trasferimenti di armamenti e munizioni verso Kiev per circa un miliardo e 200 milioni di dollari, mentre rimanevano sul territorio addestratori della Nato e funzionari dell’intelligence per perfezionare le tattiche da guerriglia adottate dagli autoctoni e garantire preziose informazioni.

Anziché abbandonare la contesa, gli Stati Uniti moltiplicavano l’impegno, consapevoli di infliggere notevoli perdite ai militari russi, anche con la presenza in loco di circa 4mila volontari d’Oltreoceano, molti di questi veterani di altre guerre. Intanto l’ex segretario di Stato Hillary Clinton, intrinseca all’attuale amministrazione pure da esterna, enunciava la crudezza del proposito, per cui «l’Ucraina dovrebbe trasformarsi in un nuovo Afghanistan», in ricordo del primo impantanamento capitato ai sovietici negli anni Ottanta per decisiva collaborazione tra la Cia e i locali mujahidin. Cui si è aggiunto lo scenografico intervento di Biden, capace durante l’ultima visita in Polonia di evocare il cambio di regime al Cremlino, prima di raccontare tanta sortita come una gaffe sostanziata dall’avversione morale nei confronti del leader russo. Mentre si trattava del tentativo di instillare il germe della vulnerabilità nel nemico e di impedire al governo ucraino di accogliere con eccessiva prontezza le richieste russe per un cessate il fuoco, visti gli incoraggianti risultati ottenuti dalla resistenza.

Il disegno americano sta certamente mostrando i primi frutti. A causa dei fallimenti registrati, il Cremlino ha decisamente modificato i suoi piani, rinunciando a rovesciare il governo di Kiev, puntando sul puntellamento del Donbass e sul controllo del mar d’Azov, pure descrivendo tali acrobazie come congrue alla tabella di marcia.

Le principali cancellerie dell’Europa occidentale hanno confermato la volontà di riarmarsi massicciamente o almeno di centrare quel 2 per cento del Pil da devolvere al budget della difesa, storicamente richiesto in sede Nato, mentre hanno accettato l’isolamento dell’Orso, anche immaginando di accelerare una diversificazione energetica ormai descritta come indifferibile.

Per tacere del più prevedibile tono bellicoso adottato dai paesi dell’Europa orientale, perfino disposti ad accogliere milioni di rifugiati in nome un drastico indebolimento dello atavico egemone russo.

Secondo il progetto americano, Mosca dovrebbe sprofondare nella crisi economica e nella claustrofobia culturale, incapace di agire compiutamente nella penisola europea, di sostenere la causa cinese, con Pechino improvvisamente orfana di un socio pensato come assai potente.

Eppure tale manovra è portatrice di numerosi rischi. Al di là dell’occidente, la Russia non pare isolata, anzi ha riscosso soprattutto il sostegno dell’India, oltre a quello della stessa Cina, impegnata in queste ore a fornire munizioni alle forze armate di Mosca senza scatenare su di sé l’impianto sanzionatorio washingtoniano.

Così nel medio periodo la Repubblica popolare potrebbe comunque avvalersi del patrimonio strategico della Russia semplicemente assorbendo a basso costo le sue risorse energetiche e militari, trasformandosi in un soggetto perfino più pericoloso perché ampiamente dominante nei confronti di Mosca – quanto voleva ottenere il Giappone all’inizio del Ventesimo secolo.

Nel medio periodo i paesi europei, specie al termine della guerra, potrebbero schierarsi contro la chiusura imposta al Cremlino. Soprattutto, come capitato in altri passaggi della storia, se oltremodo schiacciata Mosca potrebbe aumentare la propria aggressività, magari ricorrendo all’utilizzo tattico dell’arma nucleare.

Eventualità spaventosa, capace di sparigliare nuovamente le carte, sconvolgendo l’assetto internazionale sognato dagli Stati Uniti, allora chiamati a combattere direttamente l’Orso russo, dopo aver immaginato di inibirlo estromettendolo dalla competizione con Pechino per la supremazia planetaria.

(Estratto di una lunga analisi di Dario Fabbri su Scenari; qui la versione integrale)

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