Skip to content

Ecco come Usa e Germania si scazzottano sul bilancio della difesa di Berlino

utte le ultime tensioni sulle spese militari della Germania tra Berlino e Washington nell'approfondimento di Pierluigi Mennitti

L’ambasciatore statunitense in Germania Richard Grenell, vera spina nel fianco del governo tedesco, ha già scatenato un nuovo caso politico con accuse che hanno richiesto la smentita diretta di Angela Merkel e che hanno suscitato una richiesta di espulsione da parte del vice presidente del Bundestag. Il problema è che Berlino verrà meno non solo alla promessa di raggiungere entro i prossimi cinque anni quel 2% di Pil in spese militari richiesto a gran voce dal presidente americano (e prima di lui, ma con meno veemenza, dal suo predecessore Barack Obama) ma anche all’impegno preso direttamente con il segretario generale della Nato dell’1,5%.
Secondo le cifre contenute nel piano di bilancio di medio termine da qui al 2023 (quindi due anni dopo la chiusura dell’attuale legislatura), che il ministro delle Finanze Olaf Scholz presenterà questa mattina nel consiglio di gabinetto ma che da un paio di giorni circolano informalmente sui tavoli dei ministri e quelli dei giornali, lo stanziamento destinato alla Difesa per il 2020 ammonterà a 45,1 miliardi di euro, pari all’1,37% del Pil. Sono sempre oltre 2 miliardi in più rispetto al budget dell’anno in corso, ma anche 2 miliardi in meno rispetto a quelli richiesti dalla ministra Ursula von der Leyen per poter centrare quell’1,5% assicurato da lei stessa e da Angela Merkel con lettere ufficiali a Jens Stoltenberg.
Di più. I numeri del piano di Scholz per gli anni successivi sono ancor più deludenti per chi si attendeva una crescita delle spese militari. Al contrario il budget cala: sono previsti 44,26 miliardi per il 2021, 44,29 per il 2022 e 44,16 per il 2023, l’ultimo anno preso in considerazione. Di fronte alle proteste di von der Leyen (ma non è l’unica ad aver alzato la voce di fronte al piano) il custode delle Finanze ha replicato che è cambiato il quadro generale di riferimento, che le prospettive economiche per i prossimi anni sono peggiorate e che le previsioni di entrate fiscali sono meno ottimistiche: gli anni dorati sono finiti, ha detto Scholz, spalleggiato dagli esperti di conti del suo ministero e dell’Spd. E proprio ieri il comitato dei saggi che consiglia il governo, ha visto al ribasso le stime di crescita del Pil 2019 dall’1,6 allo 0,8%.
Ma il bilancio delle spese nel suo complesso è destinato a salire, nonostante il ministro punti ancora a mantenere il famoso Schwarze Null, l’obiettivo di nessun nuovo debito così caro al suo predecessore Wolfgang Schäuble e in passato velatamente criticato da ambienti economici vicini ai socialdemocratici. Così le spese complessive passeranno dai 356,4 miliardi di quest’anno ai 362,6 del 2020, ai 366,1 del 2021, fino ai 371,8 miliardi del 2022 e ai 375,1 del 2023. E di conseguenza, con le cifre generali che salgono e quelle della difesa che scendono, diminuisce anche la quota percentuale, quella che in Germania ormai chiamano “quota Nato”: dall’1,37% del 2020, che ha già fatto infuriare il rappresentante di Trump, si passerà all’1,33 nel 2021, all’1,29 nel 2022 e all’1,25 nel 2023. In soldoni, alla fine del periodo le spese militari torneranno al punto di partenza e l’ammontare del 2023 sarà quasi identico a quello del 2018. Altro che aumento, altro che adeguamento come richiesto a suo tempo da Trump.
Così è partito un nuovo duello fra Washington e Berlino, innescato dalle ennesime parole di fuoco dell’ambasciatore poco diplomatico Richard Grenell. “I Paesi membri della Nato si sono già chiaramente pronunciati per il raggiungimento della quota del 2% entro il 2024 e non per allontanarsene”, ha tuonato Grenell una volta venuto a conoscenza dei piani di Berlino, “che ora il governo tedesco stia anche solo considerando di ridurre i già adesso inaccettabili contributi all’operatività militare costituisce un’inquietante segnale dato dalla Germania ai suoi 28 alleati della Nato”. Il rapporto Usa-Germania tocca un nuovo minimo: dopo gli scontri sugli squilibri commerciali, le minacce alle imprese tedesche impegnate in Iran e nei lavori del raddoppio del gasdotto russo Nord Stream 2 e quelle di interrompere lo scambio di informazioni di intelligence sul caso Huawei-rete mobile 5G, adesso si riapre il vecchio fronte dei contributi per la Nato. Punto sul quale Merkel aveva assicurato personalmente qualche concessione agli americani.
Così, dopo che il vice presidente del Bundestag Wolfgang Kubicki (che è anche il numero due dei liberali) aveva gettato benzina sul fuoco chiedendo all’Auswärtiges Amt, la Farnesina tedesca, l’espulsione del diplomatico come persona non grata, la cancelliera è dovuta intervenire di persona. Una dichiarazione in tipico stile Merkel: prima ha sottolineato come negli ultimi anni la quota delle spese militari tedesche rispetto al Pil sia costantemente aumentata, e poi ha rassicurato sul raggiungimento di due obiettivi, l’1,37% quest’anno e il’1,5% nel 2024.
Cifra, quest’ultima, smentita dal piano che il governo si appresta a discutere. Certo il bilancio potrà essere ritoccato. Arriva oggi, per la prima volta, sul tavolo del governo e come sempre i numeri di Scholz dovranno confrontarsi con le delusioni e le lamentele dei vari ministri, non solo quelle di von der Leyen, con le pressioni esterne come quella di Grenell e con i tentativi di accomodamento, tipo quello paventato dalla stessa cancelliera. L’esecutivo ha tempo fino al 26 giugno per discuterlo, emendarlo, correggerlo e poi approvarlo, dopo aver anche potuto confrontare le stime sulle entrate fiscali più aggiornate. E infine toccherà al Bundestag dare il via libera definitivo alla legge di bilancio nel mese di novembre.
Sul versante dello scontro diplomatico vanno comunque registrate per intero le frasi di Kubicki, che è personaggio schietto e anche influente nella politica nazionale: “Quando un diplomatico americano si comporta come l’alto commissario di una forza d’occupazione bisogna fargli capire che la nostra pazienza ha un limite”, ha detto, “non voglio difendere il piano di bilancio di Scholz ma non è più tollerabile che un diplomatico Usa si immischi continuamente nelle questioni politiche di una repubblica sovrana”. Al di là delle forme volutamente brusche di Grenell, restano appunto le questioni politiche: perché oltre a confutare le promesse di aumento progressivo delle spese militari, il ridimensionamento degli impegni per i prossimi anni contraddice le ambizioni di maggiore presenza e assunzione di responsabilità sulla scena internazionale che la Germania ha annunciato negli ultimi anni. Tanto più che oltre al cosiddetto hard power, il bilancio di Scholz cala la scure anche sul soft power, gli aiuti allo sviluppo: dopo un aumento di 1,4 miliardi nel 2020 per complessivi 10,25 miliardi, caleranno fino a 9,5 nel 2023.
Torna su