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Russia Economia

È stato sottovalutato più Biden o Putin nella guerra in Ucraina?

I Graffi di Damato

 

Di fronte agli sviluppi della guerra in Ucraina – tra i missili russi caduti su Kiev durante la visita del segretario generale dell’Onu, peraltro reduce dall’incontro al Cremlino con Putin, e la richiesta di Biden al Congresso di stanziare altri 33 miliardi di dollari per aiutare “fino in fondo” il Paese aggredito nel cuore dell’Europa – dovremmo tutti chiederci chi è stato sottovalutato di più sino ad ora: il presidente che si presume erede addirittura di Pietro il Grande o il presidente americano? Le cui foto sono state spesso analizzate anche sotto il profilo sanitario da alcuni commentatori per valutare chi dei due sia più ammalato: Putin con quella faccia gonfia probabilmente di cortisone, e le mani pesantemente appoggiate su tavoli e tavolini come per impedirne o nasconderne un certo tremore, o Biden con quello sguardo spesso troppo assorto o l’andatura troppo artificialmente sicura.

Dei due, il secondo è forse quello che sta sorprendendo di più per la decisione con cui sta contrastando l’altro, con una formula verbale – “faremo tutto il possibile” – che assomiglia a quella adottata a suo tempo per salvare la moneta comunitaria dall’allora presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi. Che le circostanze vogliono sia ora il presidente del Consiglio italiano, in procinto di incontrare proprio Biden alla Casa Bianca dopo avere firmato decreti per la spedizione di armi all’Ucraina, fra i crescenti malumori del principale partito della sua maggioranza. Che numericamente in Parlamento non è il Pd di Enrico Letta, come quest’ultimo cerca di far credere, ma ancora il MoVimento 5 Stelle presieduto da Giuseppe Conte. Ai cui dubbi, resistenze, minacce e quant’altro per la linea adottata a Palazzo Chigi nel conflitto ucraino era probabilmente diretto come risposta il monito del ministro della Difesa Lorenzo Guerini riferendo al Copasir – il comitato bicamerale di sicurezza e controllo dei servizi segreti – sulle armi già spedite a Kiev e su quelle che seguiranno: “La guerra scatenata da Putin determinerà un riassetto generale che va ben oltre il fianco orientale dell’Europa”. Pare che se ne sia convinto anche il ministro pentastellato degli Esteri Luigi Di Maio, i cui rapporti politici e forse anche personali con Conte debbono essere ulteriormente peggiorati negli ultimi tempi se il “garante” e ora anche consulente dell’ex presidente del Consiglio, Beppe Grillo, ha sentito il bisogno di incontrarlo durante la sua ultima visita a Roma, un po’ commerciale e un po’ politica.

Di Biden, così diverso dal predecessore Trump, che dava affettuosamente del “Giuseppi” a Conte e ne otteneva insolite disponibilità ad autorizzare i servizi segreti italiani a dargli praticamente una mano nella preparazione della campagna elettorale poi perduta per la conferma alla Casa Bianca, ha giustamente scritto Giuseppe Sarcina nell’editoriale odierno del Corriere della Sera che sembra un po’ la riedizione del suo lontano predecessore Franklin Delano Roosevelt. Di cui è rimasto celebre “lo slogan” del 1940, durante la seconda guerra mondiale: “L’America sarà l’arsenale della democrazia”. E lo fu realmente, liberando anche l’Italia dall’occupazione nazifascista a costo di perdite umane americane ben superiori a quelle dei partigiani. In nome dei quali i pochi reduci e l’associazione che ne porta il nome hanno contestato, nella ricorrenza della festa della liberazione, l’accostamento della resistenza italiana fra il 1943 e il 1945 e la resistenza di questi tempi in Ucraina: una contestazione che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha a sua volta contestato cantando metaforicamente la famosa e bellissima “Bella Ciao” con Liliana Segre. Che proprio lui nominò senatrice a vita nel 2018 portando ancora sulla pelle – credo – il marchio della prigionia nei campi nazisti di concentramento e di sterminio degli ebrei.

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