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Giorgetti

Draghi nella tenaglia Conte-Travaglio

Chi sbuffa senza contegno contro Draghi. I Graffi di Damato

 

Anche l’incontro di Mario Draghi e dei suoi ministri con i sindacati per “il cantiere” del salario minimo e del taglio al cuneo fiscale, come lo ha chiamato il giornale della Confindustria Sole 24 Ore, o il “patto anticrisi”, ha risentito del clima politico di provvisorietà, instabilità e quant’altro creato dalle condizioni della maggioranza. Dove Giuseppe Conte e Matteo Salvini si inseguono nelle minacce e negli “ultimatum” lamentati dal presidente del Consiglio. Ma Conte primeggia per il caos del MoVimento 5 Stelle aggravatosi con la scissione, peraltro non ancora completa, di Luigi Di Maio.

Ora tutti sono “appesi a Conte”, come ha titolato la Repubblica: appesi come a un cappio, per la sua incapacità – se non vogliamo parlare di cattiva volontà – di resistere alle fortissime tentazioni di rottura col governo serpeggianti fra i parlamentari destinati in gran parte a non tornare nelle nuove Camere. E ciò un po’ per i tagli dei seggi da essi stessi voluti e ancor più per i consensi perduti governando in questa legislatura con un po’ tutti i partiti pur di stare al potere. Particolarmente forte è l’agitazione dei senatori, pronti a negare la fiducia al governo sul decreto “aiuti” che già alla Camera i pentastellati non hanno voluto approvare per via soprattutto della consentita realizzazione del termovalorizzatore a Roma, dove pure si vive tra incendi e rifiuti in pasto ai cinghiali nelle piazze e sulle strade.

Ad un governo sotto scacco, forse anche matto, era francamente difficile che i sindacati, pur accolti calorosamente da Draghi in persona a Palazzo Chigi, dessero credito più di tanto. E infatti non lo hanno dato, specialmente la Cgil di Maurizio Landini. Al quale non si può onestamente chiedere di lasciarsi scavalcare in silenzio da Conte che ha messo, fra le nove richieste di “discontinuità” e “cambiamento di marcia” avanzate per iscritto a Draghi, un altro sostanzioso “scostamento” di bilancio, cioè altro deficit e debito pubblico, per aumentare la spesa nell’ultimo anno di legislatura. E infatti Landini non si è lasciato scavalcare ed è tornato, pur dimagrito e vestito di blu, a fare il tribuno tra la selva dei microfoni all’uscita da Palazzo Chigi.

Non si sa, a questo punto, se il governo sarà ancora al suo posto, o comunque in condizioni di “fare”, che sono le uniche accettate da Draghi, per un successivo incontro, verso la fine del mese, programmato con i sindacati prima di un altro, corposo decreto di contenimento della crisi sociale. Ma se non avverrà, sarà ben difficile a Conte, e a ciò che sarà rimasto del suo movimento, scaricarne la responsabilità su altri: a cominciare dal “Draghi sottovuoto” gridato dal giornale che più rimpiange e sostiene l’ex presidente del Consiglio. Che è naturalmente Il Fatto Quotidiano, spesosi a rappresentare così l’incontro con i segretari dei sindacati a Palazzo Chigi: “La proposta che non c’è del governo che non c’è”, dal quale quindi i grillini dovrebbero affrettarsi ad uscire, e non limitarsi a negargli la fiducia o a non votarne i provvedimenti. Non è affatto escluso che Conte soddisfi alla fine, pur in un percorso assai tortuoso, quest’attesa spasmodica dei suoi estimatori. Che hanno riempito le tasche, diciamo così, anche ad un vecchio giornalista e militante di sinistra come Sergio Staino, ex direttore dell’Unità, sbottato sulla prima pagina della Stampa a dire nella sua vignetta: “Io prima non ero molto convinto di Draghi. Adesso, grazie a Conte, me lo sposerei”.

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