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Giorgetti

Draghi giù. I giornali che esultano e quelli che si stracciano le vesti

Come i principali quotidiani hanno commentato la fine del governo Draghi. I Graffi di Damato

 

Dalle tasche piene, rovesciate da Mario Draghi sul Senato sia nel discorso di avvio della verifica parlamentare chiesta dal presidente della Repubblica sia nella replica, ai caratteri di scatola usati da un po’ tutti i giornali per sintetizzarne l’infausta conclusione con quei miseri 95 voti di fiducia in un mare di astensioni e assenze equivalenti a sfiduce, ben più dei 38 voti esplicitamente e orgogliosamente contrari della sola destra di Giorgia Meloni. “Dai che si vota”, ha gridato soddisfatto Libero anticipando la festa per lo scioglimento anticipato delle Camere, cui provvederà il presidente della Repubblica dopo la replica odierna dello spettacolo, completa o ridotta che sia, nell’aula di Montecitorio. E senza neppure il rito delle consultazioni, peraltro già compiute nella sostanza da Mattarella con le telefonate che, allibito, ha fatto e ricevuto ieri mentre a Palazzo Madama si consumava quello che il manifesto con la solita felicità di sintesi ha definito “Patradrag”.

“Vergogna” ha titolato non a torto la generalmente compassata Stampa. “L’Italia tradita”, ha strillato Repubblica prendendo alla lettera le parole di Draghi al Senato quando, compiaciuto degli appelli levatisi dal Paese a favore della sua permanenza a Palazzo Chigi, ha inutilmente proposto un “nuovo patto” di unità nazionale ai gruppi parlamentari, e relativi partiti. Che hanno risposto picche con i miseri – ripeto – per quanto formalmente sufficienti 95 voti favorevoli: quello praticamente personale dell’eterno democristiano Pier Ferdinando Casini, del Pd di Enrico Letta, dell’Italia Viva di Matteo Renzi, del socialista Riccardo Nencini e del dissidente di Forza Italia, direi ex a questo punto, Andrea Cangini. Al Foglio hanno unito il serio al faceto titolando sul “Draghicidio” – sull’onda del “Conticidio” denunciato a suo tempo da Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano – e scherzando nella vignetta di prima pagina col nome di Casini, firmatario della cartuccella su cui si è votata la fiducia, per dare l’idea dell’accaduto nell’aula del Senato.

E al Fatto Quotidiano, a proposito? Se la sono cavata a modo loro compiacendosi dell’autoaffondamento” dell’odiato Draghi, “degno – ha scritto nell’editoriale il direttore-  di Schettino che manda a picco la nave e poi dà la colpa allo scoglio”.

Come da tutte le navi che affondano si è registrato il “fuggi fuggi” che ha colpito la fantasia di Avvenire, il giornale dei vescovi italiani, in quella che i giornali del gruppo Riffeser Monti – Il Giorno, il Resto del Carlino e la Nazione – hanno definito “l’ora più buia” del Paese, e non solo di un’edizione del Parlamento, o legislatura, ruotata per intero attorno alla famosa “centralità” del MoVimento 5 Stelle. Che ha perso pezzi per strada sin quasi a dissolversi tra l’apparente – e non so se più imbarazzata o imbarazzante – distrazione del comico fondatore, garante e quant’altro Beppe Grillo.

La cosa più stupefacente che è accaduta nella verifica fallita al Senato – o riuscita per i sostenitori delle elezioni anticipate, fra i quali non è forse temerario includere a questi punto lo stesso Draghi ormai stufo – è la mano che in extremis Silvio Berlusconi dalla sua villa sull’Appia Antica, tra vertici del “centrodestra di governo” e telefonate ad altissima tensione e altezza, ha voluto dare nemmeno più a Grillo ma addirittura a Giuseppe Conte, il gestore della dissoluzione del Movimento 5 Stelle. E’ stato lui, il Cavaliere, il fondatore di Forza Italia, l’ex presidente del Consiglio – d’accordo con Matteo Salvini in competizione elettorale nel centrodestra con la oppositrice Giorgia Meloni – a dare il colpo di grazia a Draghi e al suo governo facendogli negare la fiducia come un grillino o pentastellato qualsiasi.

Un colpo di sole, verrebbe voglia di dire con un certo ottimismo.

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