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America

Donald Trump e il “whistleblower”. Il Bloc Notes di Magno

Il Bloc Notes di Michele Magno

La storia è piena di traditori, per avidità o per amor di patria, per ambizione o per vendetta, per fanatismo o per viltà, per mille ragioni e per mille passioni. Ma chi è il traditore? Che sia chi infrange un giuramento, o incrina il patto che unisce una comunità, pare abbastanza ovvio. Per non parlare degli adulteri nella sfera privata, l’attributo di traditore è stato dato a rivoluzionari e voltagabbana, apostati ed eretici, convertiti e rinnegati, ammutinati e disertori, spie e collaborazionisti, ribelli e terroristi, pentiti e crumiri. Eppure, se osserviamo il tradimento nelle diverse epoche, la percezione che ne hanno avuto contemporanei e posteri è molto più mutevole di quanto non dicano le formalizzazioni giuridiche.

Prendiamo il caso del funzionario che ha rivelato i contenuti del colloquio telefonico tra Donald Trump e il leader ucraino Volodimir Zelenskij. Per il presidente americano è un traditore, per i suoi avversari è invece un “whistleblower”. Ma chi è il “whistleblower”? In inglese indica “una persona che lavorando all’interno di un’organizzazione, di un’azienda pubblica o privata, si trova ad essere testimone di un comportamento irregolare, illegale, potenzialmente dannoso per la collettività e decide di segnalarlo all’interno dell’azienda stessa o all’autorità giudiziaria o all’attenzione dei media, per porre fine a quel comportamento”.

La scelta di denunciare irregolarità e comportamenti illegali riscontrati sul luogo di lavoro comporta spesso, e a tutte le latitudini, ritorsioni e conseguenze negative per chi denuncia. Soprattutto nei Paesi di cultura anglosassone si è dunque profilata la necessità di legiferare a tutela di queste persone. Negli Stati Uniti, un precedente legislativo risale addirittura al 1863: si tratta del “False Claim Act” o “Legge Lincoln”, che prevedeva una ricompensa per chi denunciava frodi ai danni del governo federale. Nel 1989 viene varato il “Whistleblower Protection Act”, il quale sanzionava le istituzioni, aziende o agenzie che adottavano provvedimenti punitivi nei confronti di chi denunciava le loro malefatte. Ma è nel Regno Unito che è stata elaborata e approvata la legge forse più estesa e completa in materia: il “Public Interest Disclosure Act” (1998).

Il “whistleblower” è una figura che conquista letteralmente la scena internazionale nel 2013, quando il Guardian svela l’identità della fonte che gli ha fornito la documentazione che accusa le autorità statunitensi e britanniche di aver predisposto programmi di sorveglianza elettronica di massa. È il più grande scandalo — verrà chiamato Datagate — relativo all’intrusione della politica nella privacy dei cittadini. Edward Snowden, come era avvenuto per un caso diverso ma dagli aspetti simili, quello di Julian Assange e di WikiLeaks, viene considerato da una parte dell’opinione pubblica democratica come una specie di eroe, mentre per numerosi deputati e senatori del Congresso Usa è un abietto delatore che ha attentato alla sicurezza nazionale.

In realtà, quarant’anni prima Ralph Nader, un avvocato americano molto attivo nella difesa dei diritti dei consumatori, aveva usato il termine “whistleblower” proprio in opposizione a quello di “traitor”, ovvero come sinonimo dell’impegno civile e etico del cittadino probo e onesto. E in questa accezione verrà registrato nel 1986 dall’Oxford English Dictionary.

Suscitano pertanto qualche perplessità i giornali italiani quando traducono la parola “whistleblower” con “spia”, “delatore”, “talpa”. Infatti, veicolano impropri significati negativi di segretezza e anonimato legati esclusivamente a slealtà e a meschini calcoli di tornaconto personale.

Un’altra espressione usata per tradurre “whistleblower” è “gola profonda”: anch’essa però si rivela insoddisfacente, in quanto nel nostro immaginario collettivo e nel nostro vocabolario una “gola profonda” è l’informatore anonimo che rivela informazioni “scottanti” a un giornalista, mentre il “whistleblower” non è una fonte anonima, anche quando la sua identità può restare riservata per tutelarne la sicurezza.

Non sono mancate, infine, anche proposte di tradurlo con “vedetta” o “sentinella civica”, come ha fatto la prima ricerca di “Trasparency International Italia” pubblicata nel 2009. Hanno avuto poca fortuna, probabilmente perché sono lemmi che evocano ruoli codificati, istituzionalizzati, quasi professionalizzati, che mal si addicono a esprimere quel senso civico che dovrebbe essere proprio di ogni individuo che si senta membro di una comunità.

Come ha scritto Marcello Flores, l’epoca del tradimento, la sua lunga storia legata alla fedeltà allo Stato e alla nazione, al sovrano e alla patria, con il nuovo millennio sembra così “dissolversi e lasciar spazio a un mondo in cui l’uso del termine tradimento si amplia a dismisura nei confronti di ogni comportamento ritenuto inaccettabile o sgradevole, concentrandosi sempre più soprattutto all’interno della sfera privata o, in quella pubblica, come insulto e accusa generica” (“Il secolo dei tradimenti. Da Mata Hari a Snowden, 1914-2014”, il Mulino, 2017).

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