Il braccialetto elettronico, non quello d’oro o di perle, al polso o al piede di Marine Le Pen non è un pesce d’aprile. E’ una notizia giudiziaria, arrivata una volta tanto non dall’Italia, dove abbiamo seri problemi, diciamo così, di rapporti fra la politica e la giustizia, o viceversa, ma dalla Francia. Dove – ha annunciato con un certo compiacimento la nostra Repubblica di carta – per la leader della destra è “arrivata la fine della corsa”: almeno quella fra due anni all’Eliseo. La ineleggibilità comminatale dal tribunale di Parigi nel contesto di una condanna a quattro anni per frode, avendo fatto mettere a carico del Parlamento europeo personale al servizio invece del suo partito in Francia, mette in effetti fuori “corsa” la candidata della destra all’Eliseo.
“Le Pen fuori dai giochi”, ha titolato in rosso Piero Sansonetti sull’Unità aggiungendo in nero: “Anche la Francia in mano ai giudici”. Come in Italia, ripeto. Ma pure negli Stati Uniti secondo il presidente Donald Trump, che pure è riuscito a tornare alla Casa Bianca nonostante l’attenzione, diciamo così, riservata ai suoi affari di ogni tipo, da quelli finanziari a quelli sessuali, dalla magistratura americana.
Abbiamo un po’ di globalizzazione giudiziaria, dopo o visto che quella economica non è andata molto bene.
Scherzi a parte all’ombra del 1° aprile, in Francia abbiamo potuto comunque vedere e sentire, fra notiziari stampati e trasmessi, lo “stupore” del presidente del Consiglio in carica per la condanna di Marine Le Pen senza che si levassero proteste e simili contro di lui. Come invece temo che possa accadere alla premier italiana Giorgia Meloni per avere osservato che “nessuno può gioire” della condanna della leader della destra francese. Non parliamo poi del ministro della Giustizia Carlo Nordio, che più e prima ancora della Meloni ha confermato la sua preferenza per politici battuti nelle elezioni, non in tribunale.
Peraltro ho personalmente il sospetto che nel Parlamento europeo non siano stati pagati o lo siano tuttora solo francesi che si occupano dei loro partiti in patria ma anche altri, di nazionalità diversa. I magistrati italiani non sono ancora arrivati, spontaneamente o su denuncia, ad occuparsene. Potrebbero a questo punto esserne tentati.