È dunque confermato. Il “campo largo” festeggiato a Genova lunedì, che d’altronde Giuseppe Conte ha sempre considerato una formula giornalistica, preferendo chiamarlo “giusto” perché più consono alla dimensione variabile da lui preferita per tenersi mani libere con gli altri, è già svanito nel ricorso alle piazze.
Sabato 7 giugno, per quanto sia anche il giorno del silenzio elettorale per i cinque referendum su lavoro e cittadinanza, Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli si sono dati appuntamento a Roma come “ingazati”, nella definizione del Foglio. Insoddisfatti cioè dell’azione e posizione assunte dal governo in Parlamento con un dettagliato discorso del ministro degli Esteri e vice presidente del Consiglio Antonio Tajani. E decisi a riproporre le loro richieste di una rottura dei rapporti diplomatici con Israele e del riconoscimento del virtuale Stato palestinese, dal Giordano al mare. E tutto ciò che questa dimensione comporterebbe per gli ebrei, già trattati come meriterebbero, evidentemente, dai terroristi palestinesi di Hamas il 7 ottobre 2023. Un giorno, il 7, sinistramente scelto dalla sinistra per la manifestazione di giugno, utile anche all’esposizione mediatica di quello schieramento alla vigilia, ripeto, di referendum su altri temi ma complementari all’opposizione al governo.
Il cosiddetto terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi, in ordine alfabetico, improvvisamente ritrovatosi rinunciato momentaneamente all’ex, si è dato appuntamento in piazza a Milano il giorno prima per solidarizzare anche con l’Ucraina da più di tre anni invasa, bombardata, eccidiata – si potesse dire – dai russi e alleati nord-coreani e simili mandati sul campo.
“Ingazati e utopisti”, li ha definiti e contrapposti Il Foglio considerando evidentemente un’utopia il ritorno della pace e della sicurezza nell’Ucraina che Putin non tollera né libera né autonoma perché composta e persino guidata da nazisti e figli di puttana, pronti ad “abbaiare” alla Russia, come si lasciò scappare persino il compianto Papa Francesco, anche senza diventare mai soci della Nato, come ha promesso e garantito dalla Casa Bianca il presidente americano Donald Trump. Che non sta ancora all’Alleanza Atlantica come il diavolo all’acqua santa.
Dal campo largo, quindi, al campo diviso. Su temi dirimenti come quelli di Gaza e dell’Ucraina, pur in un mondo fatto di una “guerra mondiale a pezzi” avvertita dal compianto Papa Francesco, pur se da lui non sempre ben valutata nelle responsabilità, sino a ritrovarsi una volta con Putin pur parlando sempre della “martoriata Ucraina”. Ora difesa con più chiarezza da Leone XIV.