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Dirottamento di Stato, perché l’Ue rimanda la linea dura contro Lukashenko?

L'articolo di Tino Oldani per Italia Oggi

«Il pacchetto economico di 3 miliardi di investimenti, pronto ad andare dalla Ue in Bielorussia, resta congelato finché la Bielorussia non diventerà democratica». Così Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione Ue, ha reagito al dirottamento aereo di Stato messo in atto dal dittatore bielorusso Aleksandr Lukashenko, 66 anni, per arrestare un suo oppositore, il giornalista Roman Protasevich, 26 anni. Parole forti quelle di Von der Leyen, quanto meno in apparenza, pronunciate davanti al Consiglio europeo dei capi di stato e di governo riunito a Bruxelles per discutere di cambiamenti climatici e migrazioni, ma costretto a cancellare la propria agenda per concordare la risposta europea all’ennesima prepotenza di Lukaschenko, dittatore al potere a Minsk da 27 anni grazie ai ripetuti brogli elettorali di una finta democrazia, l’ultimo dei quali risalente alle elezioni dell’agosto 2020.

Di questi brogli il vertice dell’Unione europea era perfettamente informato, tanto che l’anno scorso, in pieno agosto, convocò un vertice straordinario per denunciare la manipolazione elettorale che aveva confermato Lukashenko alla presidenza con l’80% dei voti, e imporre una serie di sanzioni economiche contro sette entità finanziarie e 88 esponenti del regime bielorusso, in testa lo stesso presidente-dittatore. Fin qui, tutto chiaro. Non altrettanto si può dire, invece, del fatto che l’Unione europea, nonostante le sanzioni economiche decise l’anno scorso, avesse finora in programma di regalare ben 3 miliardi di euro al regime di Lukashenko. Una generosità, a dir poco, inspiegabile.

Ma c’è di peggio. Mentre la maggior parte dei media ha inserito il blocco dei 3 miliardi nella «linea dura» che l’Ue avrebbe adottato contro il regime di Lukashenko dopo il dirottamento di Stato, compresa l’introduzione di una no-fly zone che prevede lo stop dei voli da e per la Bielorussia delle compagnie aeree europee e coinvolgerebbe circa 2 mila voli a settimana, una corrispondenza da Bruxelles dell’Huffington post, firmata da Angela Mauro, rivela che, nel testo finale del Consiglio di stato europeo, «manca il congelamento dei 3 miliardi di finanziamenti europei per Minsk, pur annunciato dalla Von der Leyen all’inizio dei lavori». Un ripensamento a dir poco singolare, se si considerano le parole forti che quasi tutti i leader europei avevano pronunciato all’inizio dei lavori: dalla cancelliera Angela Merkel, che aveva chiesto la liberazione immediata del giornalista arrestato e della sua compagna, fino al presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, che aveva invocato misure forti, per dimostrare che l’Unione europea non è una «tigre di carta».

Purtroppo, al posto delle misure forti, è giunto l’ennesimo rinvio: sui 3 miliardi e su altre eventuali sanzioni contro enti e personalità che finanziano il regime di Lukashenko, il Consiglio europeo ha rimandato tutto a una proposta che sarà messa a punto dal rappresentante Ue per la politica estera, Josep Borrel. Idem per la no-fly zone e l’isolamento della Bielorussia via terra: i leader Ue si riservano di «concordare» le misure per attuarli. Di fatto, una retromarcia imbarazzante, che conferma l’esistenza di profonde divisioni all’interno dell’Ue sulla politica estera, materia che, come tutte le altre, è condizionata dal voto unanime dei 27 paesi membri. Poiché il vertice su Lukashenko si è svolto in un clima di totale segretezza, dove i cellulari e gli strumenti digitali erano vietati, nessuna indiscrezione è filtrata sul dibattito. Tuttavia, è arcinoto che il premier ungherese, Victor Orbàn, è da sempre grande amico di Lukashenko, e che prima dei lavori è stato l’unico a non dire una sola parola sul dirottamento aereo, limitandosi a criticare il Green deal europeo, di cui l’Ungheria non vuole condividere i costi.

La mancanza del voto unanime non è però l’unica causa della debole risposta europea al sopruso di Lukashenko. Per mettere a segno il dirottamento aereo con un Mig26 da combattimento, il dittatore bielorusso sapeva di poter contare sull’appoggio della Russia di Vladimir Putin, di cui è da sempre alleato fedele. Protezione confermata dal fatto che il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, ha giudicato «trasparente» l’operato di Lukashenko, che settimana prossima sarà ricevuto da Putin a Sochi. Non solo. La portavoce del ministero degli esteri russo, Maria Zakharova, ha colto l’occasione per ricordare che un dirottamento simile era stato provocato nel 2013 da alcuni paesi europei all’aereo che riportava in Bolivia da Mosca il presidente boliviano Evo Morales, costringendolo all’atterraggio a Vienna, nel sospetto che a bordo ci fosse il ricercato americano Edward Snowden.

Può dispiacere ad alcuni farlo notare, ma questa sicumera russa, tipica del dispotismo di Putin, è stata probabilmente rafforzata da alcune decisioni di Merkel e di Joe Biden, soprattutto da quest’ultimo, che sta tentando in ogni modo di ristabilire normali relazioni con la Russia, pur di isolare la Cina. Prima ha tolto le sanzioni economiche sul Nord Stream 2, gasdotto fortemente voluto da Merkel, ponendo fine a un veto Usa che durava da anni, ancora prima della presidenza di Donald Trump. Poi ha annunciato un vertice bilaterale con Putin, che si terrà in Svizzera tra un mese. Un’azione diplomatica di portata strategica tra due potenze globali, rispetto alle quali l’Unione europea, che non ha un esercito né una politica estera comune, si trova come un vaso di coccio tra due di ferro.

Il risultato si è visto: può usare parole forti con un dittatore-dirottatore come Lukashenko, ma misure punitive deboli, di pura facciata. Una tigre di carta.

 

Articolo pubblicato su italiaoggi.it

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