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Democrazia Guerra

Come cambierà la democrazia (anche italiana) dopo l’invasione dell’Ucraina

L'intervento di Emilio Lonardo.

Il 15 aprile del 1999 mi trovavo per lavoro a Mosca. Due amici mi offrirono di accompagnarli al concerto per il 50° anniversario di Alla Pugacheva, la più nota cantante russa di musica leggera. Aderii con entusiasmo. Eravamo in terza fila (quei miei amici contavano, mi dissi…)! Alla fine del concerto, un uomo bruno, giovanile ed atletico, salì sul palco ed offrì alla cantante un vistoso mazzo di rose rosse e fiori gialli. I miei ospitali amici mi dissero che quello era il Vice-Presidente della Federazione Russa e giovane emergente della politica, Borìs Nemtzòv, e che me lo avrebbero presentato. Finita la cerimonia, ci avvicinammo a questo sorridente politico e, su presentazione dei miei amici, scambiai con lui alcune frasi in inglese. Era – come tutti i russi – contento di poter parlare dell’Italia e lo faceva con un entusiasmo e dei sorrisi contagiosi.

Quel ricordo mi tornò in modo drammatico alla mente il 28 febbraio 2015, quando appresi dai telegiornali che la sera prima, su uno dei principali ponti di Mosca, quel giovane politico pieno di capacità e di entusiasmo, diventato, nel frattempo, duro oppositore di Putin, era stato crivellato di colpi e lasciato morto sul marciapiedi. L’impressione in Russia fu notevole ed il Presidente Putin – sicuramente con migliori intenzioni… – avocò a sé la direzione delle indagini. Nella notte furono confiscati tutti i documenti dell’appartamento moscovita di Nemtsòv. La luce su questo terribile assassinio politico non è mai stata  fatta. Ma chi conosce senza pregiudizi la politica russa degli ultimi venti anni, ha pochi dubbi su quanto successo. Borìs Nemtsòv era diventato da un anno consulente del governo dell’Ucraina, e nel 2014, aveva scritto la sua condanna a morte: “L’Ucraina ha scelto la via europea, che implica il ruolo della legge, la democrazia e l’alternanza al potere. Il successo dell’Ucraina su questa strada è una diretta minaccia al potere di Putin, perché lui ha scelto la via opposta – il potere a vita, pieno di arbitrarietà e corruzione.”

La vicenda di Nemtsòv e la sua analisi sul pericolo che l’Ucraina democratica ed europeista rappresenta per Putin, ci introduce ad un tema assolutamente centrale per la politica italiana e per il mondo occidentale democratico. Le polemiche sul presunto ruolo di “promotore di pace” di Salvini non cambiano il cuore del problema che la politica italiana e degli altri Paesi democratico liberali dovranno affrontare comunque: come evolveranno schieramenti politici ed alleanze dopo l’invasione russa dell’Ucraina e qualunque ne sia l’esito (se non quello eventuale della rimozione di Putin dal potere in Russia). Si manifesta, infatti, una questione decisiva: se è vera e profetica la frase detta nel 2015 da Nemtsòv, si è aperto da tempo – per altro esplicitamente dichiarato da Putin – uno scontro senza quartiere della Russia (e non solo) contro la democrazia liberale nel mondo, che il nuovo czar reputa un sistema di governo inefficace e “decadente”.

A completamento di questa ineludibile strategia di Putin, è da rilevare che la Russia continua a rappresentare nel mondo lo Stato più capace – e storicamente con maggiore esperienza – nel campo della “intelligence” e della “disinformazione”. Dai tempi di Stalin la Russia/URSS è riuscita ad uccidere i propri oppositori politici in qualsiasi parte del mondo, compresi Messico e Cuba oltre a vari Paesi europei, o a farli rimanere in potere di regimi totalitari (sì, anche durante il fascismo italiano, con cui Stalin aveva ottimi rapporti); a rubare, con reti spionistiche basate sulla adesione ideologica o sulla corruzione, segreti civili e militari, a partire dalla bomba all’idrogeno negli Stati Uniti; a organizzare reti di disinformazione diffuse e sofisticate; ad influenzare (non sempre con successo) i sistemi politici occidentali fino ad influire sull’elezione di uno degli ultimi presidenti USA. Elementi concreti nel campo della disinformazione stanno oramai emergendo con forza anche sui “social” e da parte di politici occidentali, in vario modo finanziati o favoriti (o ricattati) dal sistema russo.

La politica dei Paesi democratici sarà, quindi, costretta a cambiare innanzitutto le modalità di confronto e relazione tra le diverse forze politiche. Sullo schema destra/sinistra, storicamente affermatosi dopo il secondo dopoguerra, prevarrà necessariamente uno schema democraticoliberali/populisti. Ovviamente, tra i primi, rimarranno idee diverse tra chi privilegia la bontà del libero mercato e il diritto ad arricchirsi liberamente senza limiti e chi dà più peso alle politiche di uguaglianza e solidarietà sociale. Ma i Presidenti (nei sistemi presidenziali) e i Governi (nei sistemi parlamentari) saranno necessariamente sempre più il frutto di una sempre maggiore collaborazione (o di una opposizione costruttiva) tra queste due principali “famiglie” della democrazia liberale.

Una prova di questo nuovo schema potrebbe già emergere proprio negli USA alle prossime presidenziali: se nel Partito Repubblicano fosse ricandidato Trump, potrebbe esserci un terzo candidato di un’ala conservatrice repubblicana, più coerente con la storia dei grandi presidenti repubblicani di questi 70 anni: Eisenhower, Reagan, G.W. Bush. In Italia, possiamo notare già che, con l’esperienza del Governo Draghi, esiste una proficua collaborazione tra forze un tempo prevalentemente ostili e che, ad esempio, Fratelli d’Italia, pure fermamente e limpidamente all’opposizione, ha scelto di stare dalla parte della democrazia e degli interessi nazionali/europei/democratici, rompendo i ponti, ad esempio, con la Le Pen e assumendo posizioni di compattezza sull’invasione dell’Ucraina, laddove Salvini ed una parte dei cinque stelle e della sinistra “oltre il PD” hanno scelto radicalmente, pur non potendolo confessare, la subalternità al sistema, chiamato in modo eufemistico così dal suo capo ed ideologo Putin, di “democrazia governata”.

Ringraziamo il grande Borìs Nemtzòv di averci chiarito qual è la posta in gioco di questa guerra della quale non sentiamo i colpi di cannone ma che ci è molto più vicina su social, Tv ed effetti economici di quanto possiamo percepire.

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