L’orrore della trentottenne di Torino che si siede su un water, fa cadere il neonato che portava in grembo e lo lascia lì, sostenendo di non essersi resa conto di essere incinta, si inserisce in due scenari drammatici, quasi del tutto ignorati. Il primo è la dipendenza, in questo caso da crack e altre sostanze, che precipita l’essere umano in un’abiezione nella quale tutto diventa possibile. Dato non rilevato a sufficienza che invece incide molto in violenze, delitti, vittime, incidenti stradali causati in circostanze diverse. Il secondo è quello dei delitti famigliari, nei quali andrebbero inquadrati anche i femminicidi contro siamo oggi mobilitati.
Per prendere dagli ultimissimi fatti emersi alla cronaca: un uomo che infierisce a coltellate sulla ex, così come un gruppo di rapinatori stranieri che decidono di abbinare lo stupro alla rapina, sono ovviamente casi patologici che però, senza esagerare in psico-sociologismi, esplodono in un contesto favorevole. Nel secondo caso, quello della marginalità immigrata che facilmente lambisce la criminalità, come è abbastanza noto.
Lo scenario dei delitti domestici e famigliari, invece, è altrettanto noto ma condizionato dal femminicidio, che assorbe quasi tutta l’attenzione mediatica e politica e al quale pure è strettissimamente legato: l’88% dei femminicidi è attribuito a congiunti e persone conosciute, come conferma il Rapporto Bes 2024 dell’Istat. Restano così quasi oscurati episodi come quello della donna torinese, che aveva avuto un precedente simile solo pochi mesi fa, mentre un barlume di interesse si accende quando l’orrore è esasperato dall’uso dei media, come per l’uomo che ucciso la sorella per mostrarla alla madre via cellulare. Un uso che fa da enzima dell’orrore, come accade non più solo a livello giovanile.
A colpire sono solo le punte, tipo il tizio che si traveste per incassare la pensione della madre come in un sequel di Psycho. Gli infanticidi, poi, sono ulteriormente oscurati dall’emarginazione in cui l’infanzia vive in epoca di gelo demografico e presentismo assoluto: niente figli, niente futuro. Spesso sono solo poche righe in cronaca, come per il duplice infanticidio a Bergamo, qualcuna in più per la madre ucraina che uccide il figlio a coltellate, per Chiara Petrolini, che ha ucciso e seppellito in giardino due neonati appena partoriti e per la piccola Diana Pifferi, morta di stenti dopo essere stata lasciata sola dalla madre per una settimana.
Dal 2000 in Italia si sono registrati 535 infanticidi, pari al 12,7% degli omicidi famigliari. I quali, al di là della depressione post-parto e dei disturbi mentali conclamati, si riconducono a una dinamica nota in psicologia: l’ambigua convivenza, né libera né forzata del tutto, che si registra in famiglia, un tempo sedata dalle imposizioni culturali e normative ma oggi a rischio di deflagrare proprio per l’apparente libertà di costumi e l’indebolimento delle relazioni interpersonali. Sarebbe utile se, parlando di femminicidi, si ricordasse anche questo tema.




