Dichiaratamente e orgogliosamente impegnato a occuparsi “del mondo”, che peraltro gli ha imbiancato ancora di più i capelli, Massimo D’Alema si è lasciato distrarre ieri sera dalla politica italiana nel salotto televisivo di Lilli Gruber. Che prima ha cercato, senza riuscirvi, di strappargli qualche giudizio critico sulla segretaria del Pd Elly Schlein, considerata dalla conduttrice de la 7 non abbastanza schierata contro Israele. Poi è riuscita invece a strappargli sarcasmo e quant’altro contro la premier Giorgia Meloni.
A quest’ultima D’Alema ha contrapposto il ricordo dell’allora presidente del Consiglio Romano Prodi, supportato da lui al Ministero degli Esteri, all’epoca della guerra di Israele al Libano, risoltasi -nella solita provvisorietà di quella regione del Medio Oriente, a dire il vero- con un presidio di caschi blu a guida italiana. Che però si lasciò costruire quasi sotto le sue postazioni, o nei dintorni, gli arsenali militari dei terroristi finanziati dall’Iran per bombardare il territorio israeliano. Sino a provocare una crisi recente che non dovrebbe essere sfuggita all’osservatorio dalemiano. Non proprio il massimo, diciamo, del risultato con tutto il rispetto per Massimo, al maiuscolo, come si chiama D’Alema.
Continuo a ritenere, personalmente, che l’allora segretario del Pd e insieme presidente del Consiglio Matteo Renzi avesse sbagliato a perseguire con tanta ostinazione, in parte riuscendovi, la rottamazione di D’Alema, consentendogli quanto meno di arruolarsi contro una riforma costituzionale che pure aveva convinto uno come Eugenio Scalfari. Ne derivò la nota sconfitta referendaria di Renzi, aggravata dal rifiuto opposto da Sergio Mattarella, pur arrivato al Quirinale grazie a lui, alla richiesta di elezioni anticipate per cercare di investire il pur rilevante 40 per cento dei voti raccolti dalla riforma nelle urne. Non ci fu verso. Renzi dovette accontentarsi di restare alla guida del Pd, rinunciando a Palazzo Chigi, per portare il partito l’anno dopo al 19 per cento.
Ricordato tutto questo, trovo stucchevole a questo punto, con tutto ciò che sta accadendo nel mondo di cui lui vanta di occuparsi, l’ostinata ritorsione di D’Alema. Che peraltro si ritrova al seguito di Renzi, oggi, nel trattamento sarcastico riservato alla Meloni, già durata a Palazzo Chigi, con un solo governo, più di quanto fosse riuscito a D’Alema con due, fra il 21 ottobre 1998 e il 25 aprile del 2000, quando passò la campanella del Consiglio dei Ministri a Giuliano Amato.