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Tunisia

Da dove nascono le traversie di Conte e Salvini

Tutti gli effetti delle elezioni amministrative sui principali leader di partito, a partire da Matteo Salvini e Giuseppe Conte. I Graffi di Damato

Alla fine la realtà ha avuto il sopravvento su qualsiasi utopia. Che fosse quella di edificare il nuovo mondo su indicazione del Supremo, che parla all’orecchio dell’Elevato, come scrive Beppe Grillo nel suo ultimo blog. O più semplicemente il messaggio messianico sulla pace, con tanto di biglietto pagato dall’ambasciata russa per un viaggio verso il Cremlino, nel caso della Lega. Comunque sia, è stato il responso delle urne, sebbene falcidiato dalla stanchezza – la stragrande maggioranza degli elettori – di chi non vede un grande futuro all’orizzonte, a far precipitare la maionese. Impazzita sul fronte dei 5 stelle, ma ben poco commestibile anche dalle altre parti dello schieramento politico.

Com’era prevedibile dalla contesa sono emerse quelle forze politiche, la cui cultura é più radicata nella storia del Paese. Il PD a sinistra, Fratelli d’Italia a destra. Nel mezzo una galassia più indistinta con vecchie glorie, come Forza Italia; la Lega di Salvini, ex Lega Nord, al momento non si sa che cosa sia; cespugli vari dell’uno o dell’altro schieramento; nuovi protagonisti, come Calenda di Azione o ex Presidenti del consiglio, come Matteo Renzi di Italia Viva. Ed infine last but not least i 5 stelle. Per i quali il Fatto quotidiano, giornale fiancheggiatore, ha recitato il De profundis. Non abbiamo citato di Articolo 1, di Roberto Speranza, ma, questo sì, può essere considerato una “costola della sinistra” (copyright di Massimo D’Alema, allora benevolo verso la Lega di Bossi).

Un quadro variegato, che fa temere il peggio, qualora quei risultati fossero proiettati sulla ribalta politica del 2023. Quando Mario Draghi, se non si stancherà prima, dovrà cedere il passo ad un Presidente del consiglio frutto delle alchimie tra i diversi partiti. A meno di un miracolo: un coniglio pescato nel cilindro elettorale, grazie ad una maggioranza precostituita e coesa per sostituire, grazie all’archè della politica, vale a dire della sua forza primigenia, le competenze ed il rigore dell’ex BCE. Limitiamoci, al momento, ad incrociare le dita. Sperando che questi ultimi mesi di navigazione dell’attuale Governo siano i più fattivi ed i più produttivi possibili, sia sul fronte economico (inflazione e PNRR) sia su quello internazionale.

Affinché tutto ciò avvenga è tuttavia necessario fermare il pendolo. Evitare, che a destra o a sinistra, ancor peggio se su entrambi i fronti, la smania di protagonismo di leader un po’ malconci porti verso la via se non della disperazione di qualcosa che in qualche modo gli assomiglia. Vale a dire l’inseguire l’elettore marginale – sia esso il vecchio No vax o l’amico inconfessato di Putin – a discapito del proprio insediamento più tradizionale: mai come ora, di fronte a problemi così drammatici della “guerra” e della “pace”, deciso a non transigere.

Lo scontro interno ai 5 stelle tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte é il primo capitolo di questa storia. A monte di tutto l’irrequietezza dell’”avvocato del popolo” che sente tremare la terra sotto i suoi piedi. La gestione in solitaria del movimento si é dimostrata essere una scelta particolarmente rischiosa. Frutto di scarsa lungimiranza, considerati i numerosi segnali di crisi, avvertibili ad occhio nudo. Una gestione più collegiale avrebbe diluito le responsabilità. Sennonché una simile scelta avrebbe anche comportato una diversa linea politica, considerato che Luigi Di Maio è il ministro degli Esteri di questo Governo. Del tutto incomprensibile pertanto la linea di Conte contro l’invio di armi in Ucraina. Stante le prese di posizioni dell’uomo di riferimento del Movimento in seno al Consiglio dei ministri.

Per Salvini, il problema è più complesso. Sa bene che non può staccare la spina. Sarà, quindi, come al solito uomo di lotta e di governo. Apostolo di pace, che vorrebbe essere come Papa Francesco, dimenticando spesso che la politica è altra cosa, come gli ha dimostrato Giorgia Meloni. La quale senza inutili tentennamenti ha scelto l’Occidente e l’Atlantismo. E, quindi, realizzato l’agognato sorpasso. Sulla base di un ragionamento che non fa una grinza. Secondo il DEF, appena varato dal Governo, le esportazioni italiane verso la Russia, nel 2021, sono state pari all’1,5 del totale. Mentre quelle verso l’Occidente più dell’80 per cento. Nei mesi passati Salvini si é più volte speso a favore di quelle aziende che esportano in Russia, lasciando ai suoi competitori la difesa del vero “core business” italiano. E i risultati si sono visti.

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