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Scholz

Le cause geopolitiche della crisi tedesca

Come e perché il castello di carta realizzato negli anni da Merkel è crollato sulla testa di Scholz. L’analisi di Lodovico Festa

Le radici dell’attuale grave crisi tedesca sono poste nell’11 settembre del 2001 (gli attentati alle Torri del World Trade Center di Manhattan). Fino a quel momento Europa e Stati uniti erano convinti che sparita l’Urss fosse superata la necessità di una vera politica internazionale: mercati e istituzioni sovranazionali avrebbero regolato le contraddizioni del pianeta senza più un serio ruolo degli stati.

Dopo l’11 settembre l’Occidente si divide: americani (con inglesi, spagnoli, italiani, polacchi e altri ancora) ritengono che l’azione del terrorismo islamista abbia impresso una svolta nella storia del mondo. Berlino e Parigi, cioè allora Gerhard Schroeder e Jacques Chirac, pensano si possa contenere i terroristi senza modificare il paradigma degli anni ‘90: politica tra gli stati, trattati, diplomazia e – nelle situazioni più tragiche – guerra non servono quasi più. Gli interventi degli Stati uniti in Afghanistan e in Iraq sono costellati da errori, come forse era inevitabile. Comunque era inevitabile che Washington desse una drammatica risposta alla sfida mortale che le era stata portata.

L’atteggiamento del cancelliere tedesco e del presidente francese nel 2003 dimostrano innanzi tutto a Mosca e Pechino (ma anche ad Ankara) che la solidarietà occidentale è fragile. La crisi finanziaria del 2008 in parte frutto di due guerre americane in terre lontane, provoca il cambiamento di linea del Pcc che con Xi Jingping abbandona il denghismo (cioè la rinuncia a qualsiasi egemonismo globale e l’avvio di una democratizzazione basata sulla formula “un popolo e due sistemi” da sperimentare con Hong Kong).

Questa novità è accompagnata poi da un relativo ritirarsi dalla leadership globale di Barack Obama a cui si affianca una politica di disprezzo più o meno motivato verso Mosca (contraddicendo uno dei principali insegnamenti di Niccolò Machivelli: i competitori strategici “si spengono o si vezzeggiano”). I frutti di questa nuova situazione si misureranno nelle mosse russe e cinesi principalmente dopo il 2014 (annessione della Crimea).

Berlino (dove è subentrata la popolare Angela Merkel in piena continuità con Schroeder) non registra le novità, prosegue una linea economica leggermente deflattiva, trainata dall’energia russa e dall’import-export con la Cina, il tutto completato da una prassi per cui non si punta più su una Germania europea bensì su un’Europea tedesca (d’intesa con una Parigi dove è presidente Nicolas Sarkozy): questa linea richiede anche uno sradicamento dei più atlantisti tra gli europei con l’affossamento di Silvio Berlusconi, l’emarginazione di inglesi e polacchi, mentre José Maria Aznar si suicida politicamente da sé.

Con l’invasione dell’Ucraina tutto il castello di carte merkelliano salta per aria (sulla testa del povero Olaf Scholz) e oggi le vie per uscire dal disastro non paiono semplici. Forse solo l’emergere di un atlantista di ferro come Friedrich Merz potrà nel medio periodo indicare un nuovo percorso per la Germania e dunque per la Ue.

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