Accade ogni volta per le grandi ricorrenze: dall’assassinio di JFK, l’atterraggio sulla luna, Italia-Germania 4 a 3, alla vittoria Mundial 1982, eventi tragici o straordinariamente belli. Per chi c’era già è inevitabile ricordare dove eravamo e cosa facevamo quel giorno.
Per la storia molto più recente, il meccanismo del dove eravamo si ripete ogni anno per l’anniversario di un altro evento che ha così fortemente segnato l’immaginario collettivo. Forse con un’ondata emotiva superiore. Ieri era l’ultima domenica di agosto che nel 1997 cadde nel giorno 31. L’ultimo dell’ultima estate di Lady Diana. Lo schianto della Mercedes nera guidata da Henri Paul, con a bordo la Principessa, Dodi Al-Fayed, la guardia del corpo Trevor Rees-Jones, unico superstite che non ricorda più nulla, nel sottopassaggio del Ponte dell’Alma a Parigi, largo forse il doppio o il triplo di quello di Muro Torto a Roma, fu preceduto dalla cena al Ritz sabato 30 e accadde nelle prime ore di domenica 31.
Lo ho raccontato nel mio libro I conti con Craxi, con prefazione di Stefania Craxi (MaleEdizioni di Monica Macchioni), a rischio di annoiare il lettore, che speriamo ci perdonerà, lo ripeto ogni volta che c’è la ricorrenza, cercando di arricchirlo di riflessioni che suscita l’attualità del fine agosto di turno, non per rievocazioni di rito. La fine di Lady D. suggellò di fatto la fine dei ’90.
Ma paradossalmente pose fine definitivamente, dilatandola nel tempo, a quel poco anche di spensieratezza che restava pure nello stile di vita degli ’80. Pur essendo stato quello il decennio di grandi rivolgimenti che cambiarono più nel male che nel bene l’Italia, a partire da Tangentopoli con la devastazione dello Stato di diritto, le privatizzazioni delle grandi aziende di Stato, la messa sotto scacco della politica, con la liquidazione per via giudiziaria del Psi di Bettino Craxi, della destra della Dc, il salvataggio, come un’operazione chirurgica, che fece uscire illesi il post Pci dell’allora Pds, poi Ds e la sinistra della Dc. Partiti che poi si fusero nel Pd. La vittoria di Silvio Berlusconi, per ridare una casa a formazioni o spezzoni di queste laiche e cattoliche, dette vita nel ’94 a un governo che durò pochi mesi.
Ecco, perché, dunque, paradossalmente quel 31 agosto ’97 fu anche la definitiva fine dilatata nel tempo degli ’80. Non solo per gli splendidi abiti di Versace ancora in voga e indossati da Lady D, per quel lascito un po’ allegro ancora nella musica di quel periodo, ma anche e soprattutto perché il caso volle che lo schianto del Ponte dell’Alma quella mattina ci risvegliò di colpo allo Sheraton di Hammamet, dove eravamo per incontrare Craxi e avviare colloqui per un libro-intervista sulla mancata unità socialista.
Il caso volle che vissi quell’evento in un parallelo quasi tragicamente premonitore tra la fine di Lady D. e quella verso la quale era già avviato, viste, anche di persona, le sue già precarie condizioni di salute (poi precipitate nell’ottobre 1999 fino alla morte il 19 gennaio 2000) del presidente Craxi. Per tutti gli ex premier il titolo di presidente resta a vita.
Stava già da allora morendo, non solo per la salute fisica, testimoniata dalle dita dei piedi tagliate, che era impossibile non scorgere dalle scarpe da ginnastica aperte da entrambi i lati. Ma soprattutto appariva ormai condannato verso la fine dal costante stato di stress in cui era costretto a vivere, confermato da lui stesso negli appunti notturni. Uno stato continuo di stress che cercava di dissimulare con l’eleganza e la signorilità che non lo hanno mai abbandonato insieme alla lucidità. Ma era evidente, anche dai suoi occhi gonfi, la profonda amarezza, indignazione, quasi incredulità (caso politico unico in Occidente per un ex premier, peraltro del governo più longevo della “Prima Repubblica”) con cui viveva la sua situazione di rifugiato politico dello Stato tunisino, quindi esule, non latitante.
Non lo poteva essere tecnicamente, come è stato spiegato da giuristi di vaglia come l’ex direttore del Dap, nonché avvocato a Roma dello statista socialista, Niccolò Amato. Oltre alla ovvia considerazione che non si era mai visto un “latitante” di cui si conosceva in Italia e in tutto il mondo anche via e numero civico in Tunisia, e persino il numero di telefono pubblicato, in barba a qualsiasi privacy, su un giornale.
Bettino e Lady Diana, dunque, che lui aveva conosciuto da premier nella visita ufficiale a Roma della Principessa con l’allora Principe Carlo, futuro Re Carlo lll. Craxi in quegli anni dell’esilio e anche di amari bilanci amava rivedere in particolare quelle foto e ai pochi, pochissimi ormai da contarsi sulla punta delle dita, che lo andavano ancora a trovare le mostrava sorridente. Piccola pausa dallo stress continuo cui era sottoposto, già raggiunto da 4 o 5 mandati d’arresto internazionali (“che manco il peggior criminale del mondo”, disse), e nel ’96 dalla prima condanna definitiva. È una bufala, in cui sono incorse anche firme famose, che partì dall’Italia già con condanne. No, aveva solo avvisi di garanzia, sebbene una montagna, oltre 100.
Quel sabato 30 agosto 1997 ero in procinto di ripartire il giorno dopo per Roma. Ero con amici turisti italiani, conosciuti in viaggio e per niente anti-craxiani. Magari non lo avevano votato ma ogni volta mi dicevano: dai, una volta presentacelo. E ogni volta che veniva sul terrazzo dello Sheraton erano richieste di autografi. Che Italia diversa da quella selvaggia e incattivita delle monetine al Raphael o dei cortei della sinistra nelle città. Un’Italia di sinistra evidentemente sovrarappresentata dai media di tutte le parti, media che però il giorno dopo non dettero conto del gravissimo episodio del Raphael, ovvero la barbarie che inaugurò il linciaggio fisico del processo di piazza, la nascita dei futuri grillini.
Era dunque sabato 30 agosto, con quello spicchio di Italia civile e profondamente diversa, quando vidi da lontano Marcello, l’autista factotum di Craxi, entrare alla reception con un grande plico che racchiudeva un dono di Craxi per me: alcune sue litografie e serigrafie, accompagnare dal biglietto autografo intestato a suo nome, con scritto semplicemente “Madame Sacchi”.
La mattina seguente scesi a far colazione. Sentii pianti, urla di indignazione dei turisti italiani. Temetti subito per Craxi. Ma erano commossi e di più anche turisti inglesi, americani. “È morta Diana”, un coro. Telefonai più tardi a Craxi, dopo aver visto molta TV, non c’erano i telefonini di oggi. Volevo ringraziarlo per il dono, prima di tornare in Italia. Non mi fece dire neppure “Buongiorno, presidente, grazie…” che mi interruppe bruscamente: “Ma si è capita la dinamica dell’incidente?!”. Aveva una voce dal tono brusco, indignato, ma anche molto addolorato, commosso. Non potevo che rispondergli: “Presidente, la tv ha detto …”. Essendosi svegliato tardi, perché di notte scriveva i suoi appunti-memorie, poiché sentiva vicina anche la sua di fine, non l’aveva ancora vista. Pausa, una di quelle famose craxiane, sospiro: “Povera figlia”, riferito alla Principessa del Galles. “Chiamami, dall’Italia, vediamo per l’intervista”. Clic.